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Sunday, December 23, 2012

tempi postmoderni



il colore è il nero
con una leggera sfumatura di verde
ci hanno attribuito tre-quattro anni di vita economica
al netto di fusi orari e monete uniche
tutto accade e accadrà
troppo velocemente per capirlo
il mondo ha cambiato ritmo
mentre noi eravamo davanti alla tv
ci è rimasta solo la storia
da scrivere nei bar e sulle scale delle chiese
non c'è abbastanza tempo
per rimpiangere le vecchie valute
un tempo si diceva morissimo
nel più vicino ospedale
adesso ci svalutiamo rapidi
foglie economiche precipitano da alberi monetari
il colore è il nero
con una leggera sfumatura di verde

(marco)

Tuesday, September 25, 2012

( / ) 

Dimmelo anche tu 
che non mi riconosci più
che non sai mai dire quando scherzo
o quando ti sto mandando affanculo
che una volta speravi di più
che forse al tuo inferno
hai risposto con gelido mutismo
che forse al tuo interno 
si sono invertite le stagioni
che forse al tuo inverno
hai replicato con questo enorme autunno


(marco)

Wednesday, September 19, 2012

Longilineità

Si, spesso sono io
coi circoli di pensieri che volteggiano più alti delle aquile
tra le vette più lontane da terra
spesso come sono come pochi;
poi d' improvviso mi afferro i polsi,
sono  di una  ragazza,
lo faccio con forza, con la decisione di un uomo;
solo io, posso farmi del male.

giulio

Tuesday, September 18, 2012




Registrato tra Londra e Colonia,1978.
Recorded in London/Cologne, 1978.
Aufgenommen in London/Koln, 1978




http://www.youtube.com/watch?v=RfKcu_ze-60





Friday, September 14, 2012

Padre di chi.

io sono incazzato padre, padre di nessuno in realtà ci ha mai pensato che viene chiamato padre da tutti ma lei non è e non potrà mai essere il padre di nessuno?.Io vengo qui a farle queste confessioni solo perchè lei si possa sentir padre, non so bene se serviranno anche  a me, ma a lei, di certo.
Dunque la questione Don Giovanni, anche sto nome in realtà è poco azzeccato, è che sono incazzato e basta, molto spesso, molto spesso con tutti e con me, anche con me.Perchè? Mi sono accorto che non mi stupisce il marcio, quello no, non mi stupisce più, mi stupisce il buono,mi stupisce il civile, mi stupisce il saggio, mi stupisce l'amico. Allora le faccio un esempio: se camminando per strada vedo qualcuno che getta una   carta per terra, non mi stupisce affatto come non mi stupisce la pioggia di marzo. Se leggo sul giornale che una madre ha ammazzato suo figlio con quaranta coltellate non mi stupisce mica, è successo spesse volte con spesse lame. Se vedo un anziano signore, con un bastone, che barcolla nell'autobus in corsa rischiando di cadere  con accanto un giovane baldo seduto al "suo" posto che non riesce  a vederlo, non mi stupisce no. Se vedo un barbone deriso dalla gente mentre chiede due soldi per mangiare non mi stupisco, l'indifferenza non mi stupisce. Le dico io cosa mi stupisce: un giovane  che dice buonasera sia entrando che uscendo da un negozio o dalle poste già mi stupisce un poco; una ragazza che aiuta una signora con un passeggino a scendere le scalette del treno anche un pò; una piccola folla di gente  ferma ad un banchetto di una fondazione per i malati di cancro in piazza bologna mi stupirebbe non poco; una cassiera del supermercato che non tira le confezioni contro le lamiere dopo averlo passato sul rilevaprezzi (nome inventato), ma le appoggia come se si trattasse proprio del cibo che dovrai mangiare tu, quello mi stupirebbe, mi farebbe pensare: "ma guarda un pò". Potrà pensare che in fondo non le sto dicendo dove ho peccato io, ma dove peccano altri, ma il problema è che non è così. Il mio problema è ben diverso, ogni volta che non mi stupisco dell'inciviltà, dell'indifferenza, dell'odio, dell'egoismo, ogni volta mi sembra di macchiarmi di un piccolo peccato, confermato poi dallo stupore per i comportamenti  e per le azioni sane. Prete io non so dove voglio andare  a parare, magari lei quando ha scelto questo mestiere sperava di sentire cose più interessanti durante i confessionali, e magari qualcuno gliele dice; So solo che mi sento di dire "sciocchezze" del genere più che dirle che mi masturbo o che ho rubato la donna del mio amico, o  che mi da soddisfazione bestemmiare e certe volte ho pensato di uccidere delle persone. Io le sto parlando di certe cose perchè in un certo senso mi sembra di andare alla radice di tutto, al vero fatto interessante: la mia coscienza; quella cosa che lei e qualcun altro pensate si possa  ripulire pregando e facendo svariate penitenze.Io lo so che nè lei, nè la chiesa, ne dio potete farci niente e difatti sono venuto qui solo per sfogarmi e per raccontarle un pò come stanno le cose fuori da queste mura, dalle stanze del culto. Le dò un altro suggerimento: fare le prediche è facile, così come scrivere dieci comandamenti che tutti dovrebbero rispettare, il difficile è dare l'esempio, quello smuove le coscienze, lei e tutti coloro che vorrebbero cambiare il mondo o le persone dovrebbero essere un esempio, solo questo, così  il genitore per il figlio, così  il politico per il cittadino, così  l'insegnante per l'alunno, così  il gatto per il topo ( forse questi due no)...L'esempio è la chiave di tutto, perchè la gente si imita, la gente osserva quello che fanno gli altri, trae le sue conclusioni vedendo che risultati si ottengono tenendo certi comportamenti e li riproduce, passo per passo..chi più chi meno...sicuramente in media..si è fatto tardi ora, ora che l'ho confessata senza nemmeno sapere che voce ha, vado a darmi un buon esempio.





Anche i Fiori hanno paura

 (Vecchie passeggiate nel mio vecchio quartiere)



cammino, la strada è lunga, piena di cose, almeno per come la vedo io, guardo,


gente di mezza età parla al telefono di ginnastica posturale

"all'ospedale non si paga ma la lista di attesa è di mesi, in clinica mi salasserebbero invece" conclusione? boh
e io penso, forse ha mal di schiena proprio perchè ha la testa sempre china verso il basso

passo avanti,

la signora dello shrilanka entra, come ogni giorno nel tabaccaio e gioca all'enalotto e non tanto perchè ci spera, tanto non si vince mai, ma perchè questo la fa sentire più italiana, di quelli con le abitudini mangiasoldi...perchè se spendo poi alla fine vuol dire che tanto messi male  non stiamo..."stasera che si mangia mamma?" "ah..già, non ho fatto in tempo a fare la spesa,vediamo cosa c'è"

ancora avanti e vedo i fiori di cui non conosco il nome, bellissimi, bianche e rossi, riesco a distinguere i colori solo grazie ai fiori ormai, che spuntano dalle ringhiere dal cantiere della metro c, quasi a cercare di scappare, ma per farlo dovrebbero spezzarsi e poi chisà essere raccolti da qualcuno per avere ancora un senso e non esser calpestati. anche i fiori hanno paura, e quindi ancora lì nel cantiere della metro c


ancora avanti allora, c'è il bar con la bandiera dell'Albania, non l'ho mai capito, e di certo se mi trovavo a dover prendere un caffè, non l'ho mai scelto, e nessuno dei miei amici me ne ha mai parlato, eppure, è lì da sempre, da prima di me


passo ancora avanti,

ah si, qui ci abitava, no, non ci abitava, ci abita ancora e una volta avresti citofonato senza esitazioni,come ogni giorno di un periodo che non sei sicuro di aver vissuto, perchè è stato prima del muro.. adesso..."ci abitava"
ebbene si, a quanto pare non è il tempo a far sfumare i ricordi  ma è il frattempo..

passo avanti, ah ecco, lo sapevo che anche oggi dovevo intossicarmi

gente che maledice l'86 che non arriva, step 1: sti cazzo di autobus che ti fanno perdere le giornate, step 2: governo di merda, step 3: fanculo a berlusconi! eccallà! mi sta sul cazzo tanto lui quanto chi ne parla in ogni luogo e in ogni lago, anche quando non è degno di nota e non ha senso, la gente ormai lo vede come uno di famiglia. triste .

ma per fortuna si va avanti, tò il tabaccaio pieno di cose stilossissime in vetrina! vorrei una valigetta per il poker, di quelle con le fiches e le carte..."se compri fiches e carte spendi di meno". triste . e la valigetta la cosa che mi intrippa


non ha avuto scelta: se non l'avesse ucciso lui avrebbe ucciso lei


vado ancora avanti, footlooker ha sempre le solite cagate e io puntualmente ci entro e puntualmente guardo sempre le solite cagate..sarà che mi piaccion le cagate o saranno  i miracoli del marketing, già perchè i miracoli esistono e il marketing ne è la prova..


menomale che non ho l'x box a Roma


ancora avanti, la ragazza col cane, lei non lo guarda mai, guarda solo quelli che lo guardano. ah no, a vedere bene quello è un  ragazzo, non il cane, e il guinzaglio allora? a vabbè ma ce l'ha anche lei


eccoci:feltrinelli, io adoro la  feltrinelli, tranne il reparto videogiochi, sofisticatissimo e nauseante

entro ovviamente, come al solito, leggo una recenzione e poi un paio di pagine  a caso dei libri con le copertine e i titoli che mi sanno di qualcosa e poi...tutto il resto mi piace immaginarlo  e  un giorno, forse scoprirò la verità, o forse no, un pò per pigrizia, un pò per paura di restar deluso; reparto musica allora:"salve vorrei passare all'elettrico ma non capisco molte di chitarre elettriche..mi hanno detto che la greg bennet è buona ma ha un prezzo basso "PERCHE' I PEZZI SONO ASSEMBLATI IN KOREA (da sottopagati) MA SONO TUTTI DI PRODUZIONE STATUNITENSE" "mmm si, è più o meno così" "ah ok, si può provare?" le cose tra parentesi e scritte in piccolo non reggono il confronto con un buon affare

vado via, senza comprarla ovviamente per ora...mi piace scroccare il tempo e le pagine dei libri alle persone che, "poveraccie" sono lì per fare il loro mestiere...poveraccie  quelle che non lo fanno direi


esco da feltrinelli e e passo davanti a quella scritta che mi piacerebbe se non fosse per la svastica che l'accompagna: "PAOLO VIVE", e la cosa che mi chiedo non è perchè lo abbiano scritto, sarebbe stupida come domanda...ma perchè un simbolo la cui riproduzione, sotto qualsiasi forma, dovrebbe essere illegale continui a stare su un muro, enormemente, senza essere cancellato..nella strada più importante, e magari per un  "ti amo", molto più discretamente scritto, vengono prontamente rimbiancati pezzi di muri. Sarà che l'odio è più forte dell'amore ...strano quartiere il mio, strano mondo il mio


 vado avanti ancora, ancora cartelloni con facce di politici incipriati..giungo alla mia solita conclusione: la politica è una delle cose più volgari, perverse, vomitevoli, porche,  succhiatempo, succhiasoldi, succhianima, succhia a tutti loro, che conosca.


cammino

due  uomini che si tengono per mano e chissà perchè se avessi una reflex gli farei una foto..già, perchè?

mi squilla il telefono, non rispondo, sono troppo impegnato

19.30, vado a fare la spesa che senò finisco come il figlio della shrilankese, col "vediamo che c'è" (non che non mi sia mai successo intendiamoci, anzi)
e poi stasera sarò sulla stessa strada, in un locale con i divanetti zebrati..con altra gente però, che ha occhi diversi. metterò i soliti occhiali scuri per nascondere i miei.

"Viaggia leggero" dice mia madre.


Giulio




Wednesday, September 12, 2012


Sulla neve - Varlam Salamov

Come si apre una strada nella neve vergine? Un uomo marcia in testa, sudando e bestemmiando, muovendo a stento i piedi, continuando a sprofondare nella neve molle, alta. Va avanti, sempre più lontano, lasciando sul suo cammino buche nere e irregolari. Stanco, si stende sulla neve, si accende una sigaretta, e il fumo della machorka si spande in una piccola nuvola azzurra sopra la neve bianca, scintillante. Lui è già ripartito e la nuvoletta resta sospesa là dove si era fermato a riposare: l'aria è quasi immobile. Vengono sempre scelte delle giornate serene per aprire una strada, perché il vento non cancelli il lavoro umano. L'uomo trova da solo i punti di riferimento nell'infinità nevosa - una roccia, un albero alto - e guida il proprio corpo sulla neve come il timoniere guida la barca lungo un fiume, da un capo all'altro.
Una fila di cinque o sei uomini, spalla a spalla, marcia lungo la sottile e incerta pista appena tracciata. Posano i piedi accanto al solco, non dentro. E raggiunto il punto prestabilito fanno dietrofront e ricominciano a marciare calpestando la distesa di neve vergine, dove ancora non si è mai posato piede umano. E la strada è tracciata. Possono percorrerla uomini, slitte e trattori. Se si seguissero le orme del primo uomo si avrebbe un cammino visibile ma appena praticabile: un sentierino e non una strada - buche sulle quali avanzare è più difficile che sulla neve vergine. E' il primo uomo che ha il compito più duro, e quando le forze gli vengono meno uno dei cinque compagni del gruppo di testa va a dargli il cambio. Tra quelli che seguono le sue tracce, tutti, anche il più piccolo o il più debole devono camminare su un angoletto di neve vergine, e non sulle orme altrui. Quanto ai trattori e ai cavalli, su quelli non vanno gli scrittori, ma i lettori.


Friday, September 7, 2012

I lunedì al sole



i lunedì al sole
e poi i martedì i mercoledì i giovedì
e altri fotogrammi che non mi sovvengono
tu continui a mandare e-mail in Cina
mentre io al parco guardo i cani degli altri
fino a quando non arriva la notte
è da mesi che sogno di entrare in un tunnel
mai una volta che sogni di uscirne

(marco)

Wednesday, September 5, 2012

Pompieri



Sono anni che proseguo
nel mio sociale esperimento
dico a tutti
Buongiorno e Come sta?
porto le buste pesanti
delle anziane del discount
ti ascolto nelle paure e conforto come posso
anche se andrò a letto tardi
e intanto molti meschini a equivocare
filo spinato sulla mia lana scozzese
e intanto i miei stanno arrivando
strani moderni pompieri a spegnere i miei incendi
non sanno loro
quelli come me non durano a lungo

(marco)

Monday, August 13, 2012


polvere

Spero tu stia meglio di me
in questo pomeriggio senza cinture di sicurezza
né problemi apparenti
sentire l’esistenza mia e degli altri concorrenti
di questo gioco senza regole
scivolare dalle mani
pesce d’acqua dolce
boccheggiare alla ricerca dell’umido
strisciante invertebrato
trascinarsi mentre mi appisolo
su uno sgabello deformato
sentire la domenica pomeriggio
condannarti ad un ripostiglio di aria stantia
chiuso a chiave mentre la polvere ti entra nel naso
Domani andrà meglio sicuro
non abbatterti, non abbattermi

(marco)

Sunday, August 5, 2012


4.08

ore quattro e zero otto
arrancare per strada nel silenzio più totale
circondato dal camion della disinfestazione
tutta la città avvolta in uno stand-by sordo
anche se ti chiamassi non arriveresti in tempo
l'orologio pubblico a puntarmi contro le lancette
e nel campo sottostante le sento arrivare
le campane delle vacche
a frantumare anime e organi

Tuesday, July 31, 2012


bigodini

Ero a casa, a pensare ai grandi scrittori che non avevo potuto conoscere.
Brecht era morto da un pezzo. Se ne stava sotto terra a Berlino.
Garcia Lorca non ne parliamo. Carver e Wallace lo stesso.
Il mondo dei morti era affollato ed interessante.
In tivù LA7 parlava di politica ventiquattr’ore al giorno senza dire niente.
Era tutto così sterile e polveroso. Aria imprigionata in una busta sigillata per vent’anni.
Poi ho pensato che non fosse il caso di piagnucolare. Qualcuno vivo doveva esserci.
Ma dovevo muovermi io. In tivù non ce ne sono. Nessuno te li porta a casa con il corriere Bartolini.
Era il momento. Qualcuno ancora vivo tra i non morti c’era. Ed io sapevo anche dove. Ho acceso il computer e fatto una domanda per l’estero. Ho detto a tutti che avevo una gran voglia di lavorare a Cracovia
ovviamente a zero euro
perché questi sono i tempi infami in cui viviamo
e ovviamente mi hanno preso. Non penso ci fossero molti pretendenti per un posto a zero euro in Polonia. Sono arrivato e niente mi interessava se non il registro degli indirizzi. Il sedici settembre avevo già preso l’indirizzo e il giorno dopo ero in marcia verso casa sua.
C’era questo grande cortile ed io sapevo che l’interno era il 14 ma non volevo piombarle in casa, piuttosto poterle dire grazie guardandole gli occhi.
Spiegarle in inglese – italiano – polacco quanta forza mi ha dato mentre soffocavo perché tu eri morto un giorno in autunno
e nemmeno mia madre aveva fatto tanto
ero lì a pensare a questo quando sentii lo scatto di una porta.
Dal terrazzino al primo piano una signora in vestaglia mi sorrideva gentile. Mentre lo faceva mi scavava negli occhi. Aveva i capelli bianchi e il cielo era plumbeo
e i corvi stavano tutti a becco aperto
e il suo sguardo era l’unico rumore di Cracovia
era simpatia forza armistizi maratone rinascimenti
e anche qualcos’altro che ho ancora dentro e non so scrivere.
Avrei voluto dirle qualcosa ma non si poteva. Ricordo che vidi me stesso farle un inchino e lei poco dopo rispondermi con lo stesso gesto.
In lontananza c’era la sirena di un’ambulanza
i corvi gracchiavano
i cani ululavano mentre ero in Polonia
e la poetessa Szymborska sembrava d’accordo con me su qualcosa
e questo mi dava ancora sollievo
poi chiuse la tenda e andò via per sempre.
Pochi mesi dopo ero di nuovo in Italia a non fare niente quando mi hanno chiamato e così ho saputo che era morta nel sonno.
Ero al bar. Ricordo di essere uscito per strada.
C’era una vecchia che stendeva i panni.
Mi guardava in cagnesco sotto un casco di disgustosi bigodini rosa.
Sempre diffidenza carta vetrata fucili spianati e disillusione
ad ogni angolo
a cercare di intaccare il mio ottimismo e ancora non ce la fanno ed è un’impresa.
Ripensai alla leggerezza della poetessa Wislawa,
all’ironia che ci salverà tutti quanti
- salvo guerre e asteroidi -
e non solo dimenticai che eri morto
ma riuscii a sorridere a quei malefici capelli
a farle un inchino e a tornar dentro.

(marco)

Monday, July 23, 2012


strano

La parola più adatta al mondo è strano
strano vederti una volta al mese
e nel frattempo fermare il respiro
strano lavorare senza essere pagati
e dover ringraziare tutti per il bel gesto
strano è stato dirvi addio e non ciao
ho ancora i vostri numeri di cellulare
guai a chi li tocca

(marco)

Saturday, July 14, 2012


senza lieto fine

cosa ne sapevi tu
di tutti gli improvvisi autunni delle nostre storie
tu lo abbracciavi solo stretto
come avresti potuto fare
per altri cinquant’anni
o magari sarebbe finita male
– esistono anche gli inverni –
ma cosa ne sapevi tu
che non avresti mai potuto scegliere
in quale stagione vivere
tu lo immaginavi solo in estate
ma il tempo delle stagioni
ha improvvisamente virato verso il tragico

(marco)


Nota dell'Autore

Quello che avete letto è un romanzo che riguarda alcune persone che sono state punite eccessivamente per quello che hanno fatto. Volevano divertirsi, ma si comportarono come quei bambini che giocano per strada, che per quanto possano vedere come ciascuno di loro, l'uno dopo l'altro, rimanga ucciso, travolto, mutilato, annientato, non per questo smettono di giocare. Per un certo lasso di tempo noi tutti siamo stati per davvero felici, seduti qua e là senza faticare, semplicemente cazzeggiando e giocando. Ma questo lasso di tempo è stato terribilmente breve e la punizione che ne è seguita è stata al di là di ogni immaginazione; e anche quando infine la vedemmo abbattersi su di noi, non riuscivamo a crederci. Per esempio, mentre stavo scrivendo questo libro ho appreso che la persona su cui ho modellato il personaggio di Jerry Fabin si era suicidata. L'amico, da cui ho tratto le caratteristiche del personaggio di Ernie Luckman, è morto prim'ancora che cominciassi il romanzo. Per un po' di tempo io stesso sono stato uno di quei bambini che giocano per strada; come tutti loro, cercavo semplicemente di giocare invece di fare l'adulto, e sono stato pulito. Io sono nell'elenco che riporto più giù, che è l'elenco di coloro ai quali è dedicato questo romanzo, con tutto quello che di loro è avvenuto.L'abuso di droga non è una malattia, è una decisione, come quella di sbucare davanti a un'auto in corsa. Questa non la si definirebbe una malattia ma un errore di valutazione. Quando un certo errore comincia a essere commesso da un bel po' di persone, allora diviene un errore sociale, uno stile di vita. E in questo particolare stile di vita il motto è "Sii felice oggi perchè domani morirai"; ma s'incomincia a morire ben presto e la felicità è solo un ricordo. In definitiva, allora, l'abuso di droga è soltanto un'accelerazione, un'intensificazione dell'ordinaria esistenza di ciascun uomo. Non è differente dal tuo stile di vita, è semplicemente più veloce. Tutto avviene nel giro di mesi o di settimane o di giorni, invece che di anni. "Prendi i contanti e lascia andare i crediti", diceva Villon nel 1460. Pensarla così può essere un errore, se i contanti sono un soldo e i crediti una vita intera.Non c'è una morale in questo romanzo, non ve n'è di certo una borghese. Non vi si dice che va considerato sbagliato il fatto che loro giocassero invece di faticare; si raccontano semplicemente quali sono state le conseguenze della loro scelta. Nel teatro greco si cominciò, in ambito sociale, a scoprire la scienza, il che vuol dire la legge di causa-effetto. Qui, in questo romanzo, agisce dunque la Nemesi: non il destino, perché ciascuno di noi avrebbe potuto scegliere di smettere di giocare per strada, ma, così come avrete potuto evincere da questa narrazione sorta dalla parte più intima della mia vita e dei miei affetti, una terribile Nemesi per tutti coloro che hanno continuato a giocare. Io stesso non sono un personaggio di questo romanzo: io sono il romanzo. Tuttavia, così appariva la nostra nazione in quel periodo. Questo romanzo riguarda molte più persone di quante ne abbia conosciuto personalmente. Di alcune di loro, noi tutti abbiamo letto qualcosa sui giornali. E' stata, quella di starsene seduti qua e là con i nostri amiconi a cazzeggiare e a registrare le stronzate che dicevamo, la decisione sbagliata di un intero decennio, gli anni Sessanta, sia dentro sia fuori dal sistema. E la natura ci è rovinata addosso. Siamo stati costretti a smettere da cose terribili. Se queste persone hanno commesso un "peccato", è stato quello di voler continuare a divertirsi per sempre, e sono state punite per questo; ma, come ho già detto, se si tratta per davvero di una punizione, sento che è stata eccessiva. Pertanto preferisco pensare a ciò soltanto alla maniera del teatro greco, vale a dire in termini moralmente neutri, come pura scienza, come rapporto deterministico e imparziale di causa-effetto. Li ho amati tutti. Questo è l'elenco di coloro ai quali dedico il mio amore:


A Gaylene, defunta.
A Ray, defunto.
A Francy, psicosi permanente.
A Kathy, disturbi cerebrali permanenti.
A Jim, defunto.
A Val, gravi disturbi cerebrali permanenti.
A Nancy, psicosi permanente.
A Joanne, disturbi cerebrali permanenti.
A Maren, defunta.
A Nick, defunto.
A Terry, defunta.
A Dennis, defunta.
A Phil, disturbi permanenti al pancreas.
A Sue, disturbi vascolari permanenti.
A Jerri, psicosi permanente e disturbi vascolari.

... E così via. In memoriam. Questi sono stati i miei compagni; non ce ne sono di migliori. Restano nella mia memoria e il nemico non sarà mai perdonato. Il "nemico" è stato il loro errore durante il gioco. Che possano tutti loro giocare ancora, in un qualche altro modo, e che siano felici.


(Philip K. Dick - Un Oscuro Scrutare)

Friday, July 6, 2012


mentre dormi

mentre dormi mi ricordo di non dimenticare di non svegliarti ed entro piano, scalzo, mi faccio strada con gli stinchi con coraggio mentre tu hai preso ogni contromisura per i combattimenti con la notte che intraprendi ogni sera. la tapparella chiusa ermeticamente e la mascherina sugli occhi a proteggerti dalla luce. i tappi per le orecchie a proteggerti dalle mie presunzioni di sonno. la sciarpa fin quasi a luglio a proteggere il tuo collo lungo che potrebbe guardare cosa ho in fondo all'esofago e lo fa, tu non lo sai ma ogni tanto lo fa, mi fa pure il solletico. le calze a proteggere i piedi, perché sono le estremità che ci fregano, le cose che stanno in cima e in fondo, come i posti di lavoro e le prime case dalla parte opposta di roma. tipo roma, che non significava niente prima di te, prima di te c'era solo un quartierino dove io facevo il ras ed era bello eh, ma non come ora. quante rocce hai messo nel mio acquario. hai costruito nel mio cuore una specie di enorme cantiere della metro e ci hai messo dentro tutta la città e quanto sei stata svizzera nei tempi di costruzione. quando alzo la testa è buio nella stanza ma non abbastanza per non avvertire la tua armatura resistere alla notte, resistere alle intemperie, la tua armatura che io ogni tanto sono riuscito ad ammorbidire. vorrei metterti un'altra coperta, un'altra sciarpa, un'altra mascherina, altri tappi, altri accessori per la tua sicurezza notturna come ad esempio fare la guardia al tuo sonno giocando con i pupazzi che mi hai regalato. e mentre lo faccio mi viene da scriverti che questo amore è qualcosa come cioccolato che bolle in una pentola, qualcosa che dallo stato solido va a quello liquido, a quello gassoso e agli altri che Stephen Hawking non ha ancora scoperto, si modifica sempre e si stiracchia come gli elefanti sudati del bioparco e non riesco a dargli una condizione stabile ma solo un bacio sull'unico quadrato di pelle esposta ai pericoli della notte, quella notte che verso le sei come al solito si arrende mentre dormi.

(marco)

Wednesday, July 4, 2012


La tua bellezza

Ti piaceva catturare le immagini di mondo
dovunque andavi ed eri fatta di luce,
mi ricordavi sempre che la bellezza si nasconde
dietro gli angoli che non ci va di esplorare,
provandomi che esistono un milione di opportunità.

Non facevi altro che mostrarmi la bellezza
ed eri bella tu,
ma non come si può pensare
secondo le regole ed i canoni
che rendono la bellezza cosa facile, credibile,
eri incredibilmente bella.

Vi erano momenti in cui ti sforzavi
di raccontarmi ciò che avevi visto,
di mostrarmi le tue foto
anche e forse soprattutto quando il mondo
era apparso sbiadito proprio a te
e ci riuscivi nonostante tutto;
Ed io che ero ancora molto ingenuo
e di foto non ne avevo mai fatte
ti chiedevo cosa fosse, una camera oscura.

Giulio

Monday, July 2, 2012


guanti

Maledette domeniche
Di stupide guardinghe zoppicanti farfalle
E tu
Ad incrociare le dita giù nei paesi bassi
Maledette domeniche
Solitarie con me in cucina assolata ed incrostata
E tu
Ad allagare le aule magne del mio cervello
Maledette domeniche
Di sangue e ragnatele e persone scomparse per molto
Ed io
Con i guanti per conservare il dna della tua ultima carezza

(marco)

Friday, June 29, 2012


Economia e gestione della tecnologia  e dell' innovazione

Ero di fuori a studiare, in veranda, su quel tavolo di legno che non ho mai capito perchè era fatto a fasce, e non costruito con una tavola di legno intero, poggiata sulle quattro gambe, come tutti i tavoli che si rispettino, o almeno quelli che rispetto io.
Il problema di quel tavolo è che era poco adatto a mangiare, perchè anche se ci metti una tovaglia su, e ci poggi le cose, come le bottiglie, hanno un equilibrio precario poichè è molto probabile, anzi ancor di più quando c'è una tovaglia, che tu le poggi proprio dove c'è la fessura tra due tavole e quindi nel caso delle bottiglie, guai a lasciarne una aperta. Non si contano le bottiglie di Coca ci si sono rovesciate alle mie varie feste di compleanno. Il design molto spesso uccide la funzionalità, ma tanto a loro cosa gliene fotte, è cool.      Per studiare invece è fastidioso perchè se ci poggi la matita, soprattutto quelle che non sono della Fila, che quelle sono esagonali e spigolose e dunque non rotolano facilmente, devi stare bene attento a che una botta di vento non la faccia cadere giù per una delle solite fessure. Insomma è proprio un tavolo del cazzo, mette ansia.
  Comunque di studiare non se ne parlava, ero più distratto del solito. Ogni cosa mi rubava l'attenzione per restituirmela quando le pareva a lei. Ad un certo punto degli spari di fucile mi regalarono un'immagine che mi fece pensare. I pini che avevo di fronte erano pieni di uccelli che io non avevo visto proprio fino a quegli spari. Difatti, a quei suoni prepotenti, vidi elevarsi  in volo almeno un centinaio di uccelli, tutti quanti scappati verso chisà dove, e chisà poi se si sarebbero riincontrati Chisàdove. Dei suoni emessi in lontananza da un sofisticato attrezzo costruito per mezzo dell'igegneristica umana che sarà stato lungo massimo un metro, avevano condizionato, il momento, la quiete ed il ritrovo di un centinaio di esseri viventi che spaventati, appunto dal  solo rumore erano fuggiti nel giro di un secondo, anche i più temerari. Mi chiedo cosa ne sapessero tutti quegli uccelli del rumore che fa un fucile, dato che non credo che abbiano la tv, e quindi che abbiano mai visto un western. Semplice mi dissi, forse è un suono del tutto contro natura, è un suono meccanico, come ho già detto, prepotente, e dunque, li induce ad avere paura.
 D'altro canto tutto quanto abbiamo costruito, noi cari uomini, con la nostra arte della meccanica, dell'ingegneria,nell'ottica del progresso, ha il carattere della prepotenza, così il tavolo di cui ho parlato prima, così quel fucile. L'arma poi è nella sua paradossale essenza, costruita per distruggere; è l'emblema della prepotenza. Molti di quelli che consideriamo successi sono una dannata forzatura e rappresentano uno sconvolgimento delle leggi della natura, la civiltà stessa lo è.  Gli spari di fucile e la fuga degli uccelli erano emblematici, a questo punto.
   Ora non vorrei sembrarmi un S. Francesco di turno ma questo mi aiuta a capire il comportamento delle persone  anche nei confronti delle persone stesse. La prepotenza è insita nella figura dell'uomo, nel suo percorso, e nella civiltà, la schifosissima civiltà, a detta di tutti creata perchè prepotenza non vi possa essere .   Non credo ci sia da stupirsi se qualcuno cerca di sopraffarci. Se non lo fa  o è perchè non ne ha le armi o perchè non è un uomo. Cosa è allora? una specie di Angelo, lì dove la concezione di Angelo è del tutto svincolata da qualsiasi dogma cristiano. Un angelo allora è un uomo che non conosce prepotenza. Ho sempre pensato al cristianesimo come una grossa balla, però capace, a suo modo, di trasportare, come potrebbe fare una corrente filosofica, dei messaggi. Il cristianesimo è una corrente filosofica.

 - Chuck Norris ha scritto delle specie di tavole,dei comandamenti, una specie di codice d'onore, pieno zeppo di significato, e tutti lo conoscono per il karate o per le barzellette -

Certe volte anche io mi sento indifeso come quegli uccelli, al punto che l'arrivo dell'uomo rovina la mia quiete, la mia serenità e  mi fa venire voglia di scappare, lontano dalla civiltà. Certe volte anche io percepisco con forza la sua prepotenza. Certe volte, infatti, scappo.
   Ora però credo di aver "perso" abbastanza tempo,almeno 20 minuti.  Devo rimettermi prepotentemente a studiare questa roba, su questo cazzo di tavolo meccanico. Il prossimo capitolo mi ispira un sacco: "Dinamica industriale e relazioni tra imprese".

Giulio


Il discorso armonico di Re Sassofono

Che tutto questo diventi musica disse il primo Re senza spada, l' Imperatore di un Popolo che non aveva capito ancora dove andare. Che tutto questo non sia frastuono e guerra, che abbiate ben presente la parola Armonia in ogni vostro gesto, che sappiate dare il giusto tono all'azione, a ogni vostra singola azione per poter raggiungere il  soave a livello corale. Ci son da capire le basi di una buona armonia innanzi tutto, anche se ho fiducia nel fatto che siete degli ottimi improvvisatori, che avete un ottimo orecchio, abbiate l'umiltà che porta all'autocritica costante, non quella oppressiva, quella costruttiva.
Il vostro orecchio vi permetterà di rendere il suono piacevole agli altri e voi stessi e nel contempo di capire quando state sbagliando nota, quando c'è bisogno di rifare, quando c'è bisogno di esercitarsi di più, quando c'è bisogno di maggiore attenzione. L'importante, la chiave di lettura, miei cari, è l'Armonia. Le voci fuori dal coro prima o poi verranno riconosciute e purtroppo non potranno più farne parte; i silenziosi, coloro che non cantano o lo fanno con voce troppo bassa, per paura, essi stessi se ne escluderanno perchè non troveranno più un senso nel cantare in un coro. Coloro che vogliono spiccare e con la loro voce coprire anche solo quella di chi gli sta a fianco saranno, ahimè, prontamente puniti dalle leggi del suono, poichè nessuna voce, nessuna può essere troppo forte a scapito di un'altra nel mio Regno. So che non è facile cantare in un coro, so che è molto più difficile che cantare da soli, che abbisogna di attenzione ad una molteplicità di fattori in più, ma sono fiducioso in voi;  io sarò il vostro direttore: via darò il tempo, vi avvertirò quando state stonando, quando state cantando troppo forte e, cosa forse più impegnativa di tutte, darò voce a chi non l'ha.

Giulio

Tuesday, June 26, 2012


Una Storia Vera

Ricordo che ero solo un ragazzo
occhiali tondi ricci lunghi testa grossa
e pure il diastema
e le margherite ancora solo fiori ai miei occhi

ma Lello già esisteva
passeggiava onesto per la città
una rete a stringere il pallone
ed un paio di scarpe adatte ai prati verdi

Lello era un attore e pure bello
uno di cui innamorarsi in agosto
ma aveva perso l’equilibrio
e nessuno a dargli una mano per rialzarsi

Seguitava allora passeggiando
con la rete e la sua palla
cercando solo buoni compagni di calcio
in questo infame desolante viaggio

trovando solo sputi e derisione
in questo infame desolante circo
di uomini raffreddati dalla routine
a ridere della sua bellezza

E chi dimentica come questa gente lo trattava
Ogni adulto diventava un professore
alle prese con un ragazzo da quattro soldi
che non diventerà mai amministratore delegato della fiat

poveri, stupidi uomini biodegradabili
schiavi agonizzanti lucidando piante e lavando macchine
a brucare il terreno a cambiare il filtro dell’aspirapolvere
e ignorare uno come Lello

Non parliamo dei bambini poi
Crudeli come solo loro sann’essere
peggiori degli adulti
nel sentimento escludente

per quell’uomo dallo sguardo dolce
come l’amore che un tempo provò
ora evaporato per sempre
come la speranza che un tempo riposi

Nonostante la mia complicità
ricordo che non mi sembrava giusto coprirlo di scherno
abortire un uomo inerme
come solo pazzi e lumache sanno essere

ma comunque conta solo ciò che si fa
e non feci nulla.
ancora non mi era consentito
seguire la verità di Lello

Ora che sono diventato uomo
e sento di poterlo aiutare
Lello è morto per sempre.

Ci sono uomini e uomini,
momenti e momenti,
ritmi e ritmi.

(marco)

Sunday, June 24, 2012


La leggera indisposizione del neosindaco (parte prima)

Era il primo sindaco donna della Capitale e lo era da meno di un’ora.
Nonostante tutto si era barricata in ufficio con un litro di caffè a guardare dalla finestra la folla che la acclamava.
Ad ascoltare quegli inni preconfezionati.
A chiedersi cosa avrebbe fatto dal giorno dopo.
Era il neosindaco e da quando poco più di dieci minuti fa lo era diventato si era barricato nel suo studio al Campidoglio. Non faceva entrare nessuno, né alcun suono sembrava provenire dall’interno. Dalla finestra poteva vedere e sentire la folla acclamarlo e riporre in lui le residue speranze di rinnovamento di questa città di duemila anni fa. Aveva paura, il neosindaco. Non aveva lo straccio di un programma, ma era riuscita a spuntarla lo stesso. Era riuscitA, sì, non ho sbagliato a scrivere. La capitale d’Italia per la prima volta aveva eletto un sindaco con una coppia di cromosomi x e nient’altro. Probabilmente un gran numero di individui si sarà lasciato conquistare dalla retorica del cambiamento e della strumentalizzazione del sesso del neosindaco. Avrà portato l’anziana madre a votarlo convincendola della bontà dell’operazione. Il neosindaco adesso vorrebbe avere al suo fianco questo elettore medio. Desidererebbe con tutto il cuore lasciarsi convincere anch’ella dalle ottuse certezze del signore, ma non era possibile. Non aveva lo straccio di un programma. Il bilancio comunale era non rosso, di più, era Dario Argento. Aveva ottenuto quello che aveva cercato, ma ora si trovava su un’isola.
In questo istante erano passati quindici minuti – il tempo non fa sconti, non è che puoi andare a corromperlo promettendo il posto all’ATAC per suo figlio oppure i biglietti per l’aesseroma nella tribuna d’onore piena di teppisti, non puoi farlo al tempo, il tempo è solo un rubinetto e se ti distrai e non nuoti rischi di affogare nelle occasioni perdute – e il neosindaco sedeva dunque nel suo studio a luci spente. Le urla dei suoi sostenitori a cercare di entrare attraverso i pesanti doppi infissi. E un po’ ci riuscivano se è vero come è vero che ogni volta che il motto NEOSINDACO FATTI VEDERE!   raggiungeva il picco di decibel – e questo accadeva all’incirca all’altezza delle sillabe NE e DE – i suoi occhi si staccavano dalla tazzina di caffè muovendosi per qualche secondo nella stanza. Era una specie di ipnosi da potere in cui era caduto vittima. Uno strano incantesimo che le consentiva di focalizzarsi su un unico pensiero: la sua assoluta sensazione di impotenza davanti alla potenza, adesso che era riuscita a raggiungere il Campidoglio. In ogni caso aveva stretto mani per settimane ed elargito sorrisi a sconosciuti per troppo tempo per non sfruttare queste occasioni.
Il Segretario del Partito aveva le chiavi, le chiavi di tutto. Di conseguenza, anche quelle della stanza del sindaco. Era entrato senza bussare e le aveva subito ordinato di scendere a raccogliere “l’ovazione che meritava”. Ma cosa aveva fatto per meritarla? Aveva parlato quattro volte in pubblico, ripetendo meccanicamente quei cinque-sei concetti base che aveva mandato giù a memoria ben presto. La sicurezza, le tasse, gli immigrati, i giovani, le promesse. Aveva semplicemente mantenuto un minimo di educazione e contegno attorno alla sua immagine – ma non nei suoi discorsi prestampati – e l’imbarazzante tracollo del candidato della sinistra, finito martedì scorso in mutande sul settimanale scandalistico, aveva fatto il resto. Chiunque avrebbe vinto, chiunque. Ma era toccato a lei perché quella considerata più estranea a quella classe politica. Quella meno problematica, pure. Ed ora il Segretario le intimava di scendere in piazza a raccogliere quell’ovazione gratuita e sinistra, direttamente proporzionale al futuro di dissesto che aspettava lei e Roma tutta.
Stava iniziando a girarle la testa. Quando lo aveva comunicato a quello che ormai era il suo padrone, il Segretario aveva prima mostrato i denti, poi era diventato improvvisamente dolce e premuroso. Le aveva detto di prendersi tutto il tempo che voleva, di riposare qui sul divano. Lui le avrebbe fatto portare delle aspirine. E magari un panino con gli asparagi e dei peperoni. Tra qualche ora sarebbe sicuramente stata meglio, via. Intanto lui avrebbe convocato i giornalisti tutti. Prima quelli di Demiaset, ovviamente. A loro avrebbe fatto fare anche qualche foto, magari. Avrebbe detto che il neosindaco era rimasto così colpito dalla vittoria elettorale che aveva avuto un leggero mancamento. La sua commozione per la realizzazione del sogno della sua vita era troppo forte. Un leggero eccesso di felicità l’aveva messo KO per qualche ora. Questo, sosteneva il Segretario del Partito, testimoniava di per sé il grande attaccamento alla causa del neosindaco. Il neosindaco amava Roma. L’avrebbe resa un posto migliore, non appena la pressione sanguigna sarebbe risalita. Non appena la pressione della gente sarebbe calata.
Dopo queste parole la folla – se possibile – era diventata ancora più ingombrante e rumorosa, e i fascisti nella fontana di Trevi avevano ormai le dita rugose come il loro cuore. Il buio scendeva su Roma.
E mentre scendeva il neosindaco sedeva sul divano accusando questo malessere da poco. Quando era bambina, a volte passava il termometro sul termosifone e poi si misurava la temperatura che puntualmente era scabrosa. Ma la madre non ci cascava mai e la mandava puntualmente a scuola. Una mattina però aveva un’interrogazione che proprio aveva paura di affrontare. Matematica. Sapeva che il trucco del termometro non avrebbe funzionato e allora si alzò dal letto, si arruffò ancor più i capelli e disse a sua madre che aveva un enorme mal di testa. Un macigno sulla fronte. Era la prima cosa che le era venuta in mente, una mossa disperata in cui non riponeva alcuna speranza. Ma non era la prima volta che una situazione senza speranza si tramutava in un assurdo exploit e, visto il recente esito delle elezioni comunali, non sarebbe stata nemmeno l’ultima. Ad ogni modo sua madre aveva sgranato gli stessi occhi cerulei del Segretario del Partito e le aveva regalato le stesse premure. La stessa accondiscendenza. E ce l’aveva fatta. Aveva passato una giornata meravigliosa a casa con il cane Lillone tutto per sé ed era finita lì. La madre l’aveva chiamata dal lavoro per sincerarsi delle sue condizioni. Lei l’aveva rassicurata mentre sgranocchiava le patatine. Tutti quei bei cartoni alla tv, quegli eroi che volano alti nei cieli e non hanno bisogno di nessuna maggioranza relativa e nessun accordo in Transatlantico, tutto così semplice e impossibile, e i cartoni del latte, e i cartoni del succo d’arancia e la carta delle brioche. Il mondo era bello e soprattutto era così semplice, così facile ed impossibile.
La vera grande differenza tra il presente e quel bel ricordo non era tanto quella che intercorreva tra l’interrogazione di Matematica e l’enorme buco nel bilancio della capitale. Non era tanto che, tra gli altri, centinaia di energumeni rasati a zero inneggiavano a lei dall’interno di una rassegnata fontana di Trevi. La differenza più dolorosa era che adesso era notte e Lillone non c’era più e con lui i cartoni alla tv e le telefonate della mamma per sapere se andava tutto bene. Difficilmente quella giornata meravigliosa avrebbe avuto un remake. Il giorno dopo il mal di schiena l’aveva svegliato ben oltre le nove del mattino. I giornali ancora enfatizzavano la sua vittoria a sorpresa, il suo saper superare le avversità ed il suo capire i bisogni della gente e tante altre frasi che non si capiscono, e giù tutti a preoccuparsi per la sua testa, e giù tutti a scorticarsi le mani per applaudire il nuovo capo di Roma. Si era alzata, con quel tailleur che non era proprio il miglior pigiama del mondo e la testa pulsava ancora a ritmo di quei maledetti slogan di ieri.
                       
   NEOSINDACO FATTI VEDERE! NEOSINDACO FATTI VEDERE! 

La tazzina di caffè che ieri tremava ad ogni vibrazione del terreno come quel bicchiere d’acqua di Jurassic Park e la paura, anche se aveva una natura diversa, in fondo era la stessa. La paura di qualcosa di ignoto e pericoloso che era arrivato. Atene ormai bruciava da un pezzo sotto i colpi della speculazione globale. I neonazisti l’avevano quasi conquistata, stavano per piazzare le mine antiuomo lungo i confini, occorreva rassegnarsi. La testa le pulsava, faceva il rumore che fanno gli amplificatori difettosi.

(marco)

Saturday, June 23, 2012


Lunatico Narciso

Te lo ricordi quel cuore di notte
in cui Narciso ti ha presa per mano e stringendola forte
ti ha accompagnato di fronte allo specchio?
Quell'attimo in cui appena prima di chiedergli perchè
stavolta fosse così impaziente
hai visto qualcosa di diverso da sempre,
quasi come se non fossi tu?
Eri cambiata nel tempo di un fulmine,
oppure gli specchi si erano rovesciati;
così come lo specchio anche tu iniziavi
a riflettere in un altro modo.
Mi ha detto il tuo vicino che ti ha vista trafficare
nel giardino con le tue scale di valori,
le hai spostate tutte sola col sudore della fronte.
Ho visto una foto di gruppo in cui tu non apparivi
benchè ci fosse anche la tua firma sul retro
e ti ho scoperta a dare una moneta al monco
di via Zirte, a cui prima regalavi inconsapevoli
 ma non curanti facce disgustate.
L'inspiegabile è che in quelle notti di mutevoli riflessi
ripensavi a Marco che ti amava molto,
come uno specchio che non cambia mai.
Ma capisci che i periodi di luce quando muoiono
 divengono ricordi oscuri
come quell'angolo di cielo
 in cui prima viveva una grande una stella?
Ora si che lo capisci.
Ma tanto, tu non abbisogni di nessuno,
solo dei tuoi specchi, o forse oltre, solo di Narciso,
sperando che li tenga sempre nel tuo verso giusto.

Giulio

Monday, June 18, 2012


Tre poesie per un periodo


ecco la mia disperazione
la disperazione di aver paura di parlare della propria disperazione
per non turbare la mamma
o non sembrare sembrare sembrare ho dimenticato cosa
ma ora che gli argini si sono rotti
sciolgo le braccia cadono i guinzagli

ecco la mia disperazione
posso consegnarla ai semafori che lampeggiano
e ai cani rotti del canile
capiscimi nel tuo abbraccio di acqua e terra
non dimenticarti che voglio dimenticare
persino te se necessario

ecco la mia disperazione
andare in corto per le giornate troppo lunghe
meglio dimenticarsi di non dimenticare
tutto andrà per il meglio ci hanno detto i catechisti
ho paura del buio
da quando mi ricordo le cose

                                          ------------


Diciannove agosto e niente si muove
Nella mia camera come nel mio continente
Il vento non soffia, ma trascina polvere
Sui miei capelli sopravvissuti al ferragosto
La Borsa perde un altro sette per cento
Andremo tutti a piangere in biblioteca


                                         ------------

Perché sono giorni così
E gli estranei son tantissimi
Con alcuni ci sono cresciuto
Di altri conosco indirizzo genitori codice di previdenza sociale
insospettabili fattori arano i campi con le bestemmie
e gli emarginati della mia città sono quasi tutti morti
e – ancora peggio – i superstiti hanno perso il coraggio dei bei tempi

certo ne accadono di cose stupefacenti

Perché sono veramente
giorni così
e la gente in metro aumenta sempre di più
ogni volta ci sbatto contro e mi sbuccio i gomiti e le ginocchia e lo accetto come una tassa
E ieri sera il comune regalava cibo alla gente in piazza
E voi a capodanno già emigrerete nelle vostre seconde case
Certo ne accadono di cose sorprendenti,

mi sento dire mentre dormo


(marco)


Wednesday, June 13, 2012


La Città

La Città, di cui, non ho mai capito il perchè, non esistevano cartine (il che sarebbe stato opportuno visto le continue imprecisioni dei cartelli e delle indicazioni)  si snodava più o meno in questo modo: una piazza centrale, sempre gremita di gente, "Piazza dell'Indecisione", il posto dove tutti si incontravano e parlavano, molto spesso delle strade che avrebbero voluto prendere, molto spesso con una birra in mano, presa in un baretto piccolo piccolo, dove costava veramente poco; era per questo che era facile soffermarsi per molto tempo e continuare a bere e a chiacchierare fino a tardi, sembrava la tipica piazza di un paese di mare.
da qui, partivano un certo numero di vie, alcune principali:

  "Via della Presunzione", dove la gente non ascoltava mai la gente e riusciva a sentire solo l'eco della sua voce, come se fosse la risposta alle sue domande; questa portava dritta al "Quartiere dell'Ignoranza", era la via più facile da prendere e più veloce;

  "Via dell'Umiltà", portava nel "Rione della Saggezza", ma bisognava fare un mucchio di casini per percorrerla, ardua e tortuosa, bisognava avere una specie di carro armato per arrivare a destinazione;

   "Via del Sogno", portava nel "Quartiere dei Miserabili", pieno di artisti di strada, venditori di coltelli senza manico, ragazzi squattrinati con le tasche piene zeppe d'erba e ragazze con vestiti poco impegnativi e dannatamente belli, addobbate con collane e braccialetti di plastica dalla testa ai piedi di quelli che con dieci euro ne compri una quindicina...lì la musica non mancava mai. Sembrava la strada più bella ma nessuno di quelli che conosco mi ha detto di averla percorsa tutta; si dice che ci sia chi lo ha fatto, ma di persona non ne ho incontrato nessuno;

  "Via del Successo", era quella che generalmente percorrevano le macchine sportive e quelli con le cose costose poggiate sulla loro persona/lità per appesantirla, portava diritti al "Quartiere dell'Ego"...l'isolato prima di "Rione della Solitudine";

   "Via dell'Amore", non so perchè ma avevano deciso di chiamare così la parallela di via del successo, ma non c'era nessuna traversa che le collegasse e in quanto parallela, non confluivano mai;

    "Via della Religione", era quella che, come via della presunzione era molto facile da prendere, non si pagava lo straccio di un pedaggio, non c'era mai la ztl...infatti molti decidevano di prendere quella quando non sapevano quale prendere...un sacco di incidenti su quella strada, e si dice che porti a casa di dio;

   "Via della Pazzia", una strada lunga e dritta che non si è mai capito dove portasse perchè i pochi che l'hanno presa, in città non si sono mai più fatti vedere e di indicazioni manco a parlarne;

   "Via dell'Immagine", la via più piena di vetrine che abbia mai visto; mi è capitato di percorrerla a volte, giusto per curiosità , ma tutte quelle luci e quei manichini mi mettevano la nausea e tra l'altro, è una strada che più vai avanti, più mi è sembrato che si restringa, sempre più difficile da percorrere, ma se vai in fondo puoi farti una bella passeggiata per il "Quartiere della Nostalgia".

  Ripeto, la piazza era gremita di gente, sempre; molte di queste persone rimanevano semplicemente a guardare quale strada prendevano gli altri, discutendone, ed era una buona occasione per stare sempre in compagnia,

altre, pur non avendo preso una strada, in piazza non le si vedeva mai.

Giulio

Friday, June 8, 2012


E viceversa

Ricordo che vivevo a Ferrara quell’anno lì.
Era novembre quando trovai un giornale sulla mia bicicletta, lo presi e lo buttai nel cestino.
Pochi minuti dopo ero all’Università.
Gli studenti sembravano molto determinati a conoscersi tra di loro.
Parlavano esclusivamente dei composti del carbonio.
Quando il professore entrava mi ricordo chiedeva sempre a qualcuno di dare un occhio dalla finestra dell’aula alla macchina che aveva parcheggiato nel posto per gli handicappati.
Al termine delle lezioni ricordo di esser stato infastidito dal vedere ancora quel giornale sulla mia bicicletta. Strappandolo lo buttai ancora nel cestino.
Il Papa sarebbe morto a breve ma ancora non lo sapevo.
Mentre pedalavo pensavo alla nebbia e ai ferraresi che la prima somiglia così tanto ai secondi e viceversa.
E forse anche pensavo che mi ci sarei dovuto abituare
o forse no
magari era meglio emigrare un’altra volta.

(marco)

Thursday, June 7, 2012

Il Frutto dell' Amore



II sole era alto nel cielo come tutte le volte in cui ero con zio Joh', anche quelle in cui non si vedeva per colpa delle nuvole. Sempre alto nel cielo. Io lo seguivo passo per passo mentre raccoglieva quella nuova specialità di pomodori che zia Marie lo aveva quasi obbligato a piantare perchè secondo lei erano più grandi e nello stesso tempo più succosi, ed era quella strana relazione che rendeva scettico un esperto contadino come mio zio.
   Come al solito stargli dietro per tutto  quel campo, che pareva non aver confini per le mie piccole vedute, era cosa a dir poco faticosa, soprattutto visto che eravamo nel bel mezzo del luglio più afoso che io ricordi da qui a quando i luglio nacquero. Mentre Joh' si accingeva a raccogliere i frutti dell'amore (così li avevo soprannominati visto che se faceva tutta quella faticaccia, senza convinzione, era solo per amore di mia zia) mi venne in mente quel discorso che avevo sentito nel saloon del paese  quando, tre giorni prima, ero andato con  zia Marie a consegnare le quindici dozzine di uova settimanali.
   Mi aveva colpito un discorso fatto da due forestieri, in particolare l'affermazione fatta da quello che sembrava essere il più anziano dei due, anzi lo era senza dubbio; "quello che è successo ieri dovrebbe averti insegnato una lezione, questa vita è una continua lotta e se davvero vuoi affermarti ed ottenere qualcosa devi essere lesto con il ferro e senza scrupoli, non c'è spazio per la pietà, è una terra per pistoleri e se non uccidi, vieni ucciso"; l'altra cosa che non mi lasciò di certo indifferente era la foga e la rabbia con quel tizio  pronunciava quelle parole, come se anche chi lo stesse ascoltando in quel momento fosse un suo nemico, qualcuno per cui non avere pietà.

   Ripensandoci, in quel pomeriggio di raccolta, mi venne spontaneo di chiedere a mio zio: "Joh', ma è vero che per ottenere quel che si desidera e per non vedere  mai calpestati sè stessi, bisogna essere cattivi, spietati, e senza scrupoli? Non si può conquistare una terra rispettando gli indigeni? non si può guadagnar qualcosa onestamente e senza far male a nessuno? non si può costruire senza distruggere?"
   Joh' si girò verso di me, che nel frattempo ero seduto con le mani sporche  della terra scura dei campi del Nord Dakota; la prospettiva da cui lo osservavo faceva si che la sua figura avesse preso esattamente il posto del sole. Disse: "vedi Jackie, la vita molto spesso ti pone di fronte a delle sfide per la conquista di qualcosa, probabilmente per la conquista di ogni cosa, molto spesso delle vere e proprie lotte; la cosa fondamentale è che tu tieni sempre ben presente  che stai combattendo per qualcuno, non contro qualcuno, che tu ricordi che  stai lottando per qualcosa, non contro qualcosa. Se perderai di vista le cose per cui lotti, nella foschia che molte volte la rabbia porta nella mente, se non riuscirai più a vedere le cose che ami, la "guerra" diverrà il fine e non più lo strumento per la salvaguardia di queste. A questo mondo, si può lottare per odio o per amore. Quando non si ha più nulla da amare o meglio, forse, quando non si riesce ad amare più nulla o si muore sul campo di battaglia o si va avanti spinti dall'odio, e spesso non si sa bene verso chi o verso cosa; è questo tipo di sentimento che  fa perdere il controllo, che cambia le persone e le rende senza scrupoli, cattive e sfiduciate nei confronti di tutti. Quindi, il mio consiglio è di non smettere mai di amare Jackie."

    Non so perchè ma zio Joh' ne sapeva più di tutti, più di chiunque altro io abbia mai conosciuto in vita mia,e  di gente ne ho conosciuta;aveva sempre una risposta alle mie domande; non capivo e forse non capirò mai a pieno, quanto fossi fortunato ad essere proprio io lì, in quelle bollenti giornate d'estate, il suo compagno di raccolta.

Giulio

Wednesday, June 6, 2012


Ti aspetto

Tu e le tue insicurezze. Come se avessi solo questi due ingredienti da mixare in tempi di guerra e tutto il resto è un lusso ed in pratica è così, dunque quel come ad inizio frase appare superfluo, superfluo come superflue mi appaiono le tue arrabbiature e le mie paranoie che sono due falde acquifere che si mescolano, due TIR che spargono olio sulla Milano Roma e giù a scivolare le parole che avrei voluto dire e non ho detto e quelle che non avrei dovuto dire ma purtroppo ho detto.
Alla fine mi piacciono questi ingredienti, e anche il Gazometro è quasi familiare adesso. Vedo più lui che mio padre. Te la ricordi quella sera quando ti aspettavi un bacio sulle labbra ma io volevo dartelo solo in fronte perché eri così delicata, così onnicomprensiva che avrei voluto trasmetterti la mia buona salute, i miei polmoni puliti e gli altri organi freschi che ancora possiedo e prendermi in cambio tutta la tua anidride carbonica, l’avrei fatto credimi, l’avrei fatto e lo farei anche adesso ma tu sei al lavoro. Mi sentivo come ad un passo da un traguardo invisibile.
Il fatto è che a volte l’amore è un eterno inseguimento e la mia difficoltà era tutta in quella che io credevo fosse una costante fase preparatoria carica di speranze e ottimismo quando invece ho capito solo ieri che amare vuol dire proprio attendere, attenderti senza riviste di cavalli da sfogliare, guardarti dalla finestra mentre finisci di lavorare anche se ho freddo, attendere nel tempo stesso che tu finisca di lavorare e che io cominci, ritornare a casa e salutare il tuo viso offuscato dai murales sui vetri della metro che finalmente così si valorizzano e non diciamolo all’ATAC che altrimenti alzano il biglietto di dieci centesimi.
Intanto è quasi estate e ti aspetto. Sono le sette e ancora non esci dall’ufficio. Complimenti per le trasmissioni  ho sentito urlare da un balcone, e qui vicino il mese scorso abbiamo visto uno cadere dalle scale e fino a poco tempo fa da queste parti ci viveva Enrico Fermi ed ora ci sono soltanto io, che storie, le cose cambiano e ci ritroviamo sempre insieme a improvvisare. Fai con calma, ti aspetto.

(marco)

Sunday, May 27, 2012


Cappello


Compito: scrivere i pensieri che una singola parola ti innesca nella mente per i due minuti seguenti, senza staccare penna e cervello. Quando non ti viene niente, scrivi semplicemente niente, o nulla. Quando finisci scrivi stop.
La parola in questione oggi è: Cappello

Svolgimento:  Quell’amico di Fausto si chiamava proprio così, Graziano, Graziano Cappello, doveva essere un pazzo o qualcosa del genere uno diventato un punto di riferimento a casa nostra senza nemmeno conoscerlo devo andarci in Sicilia ero piccolo l’ultima volta mi piace molto Siracusa poi ho solo bei ricordi. Nulla quel prof che viveva in casa con me di Floridia doveva essere se non sbaglio, che tristezza non sentirlo più ora sono tipo 3 anni che non lo sento mi dispiace molto ma davvero molto chissà pure se è vivo ricordo che era stato male che lavoro faceva? Non l’ho capito, secondo me aveva ragione Davide non lavorava al Ministero o almeno faceva qualcosa di meno importante di quello che diceva ma gli volevo bene. quella volta che l’hanno chiuso in camera e il giorno dopo aveva l’aereo per Buenos Aires. Nulla. anche lì sarebbe bello andarci con Fra e Fab a maggio devo cercare di convincere Fra che può chiedere qualche giorno di permesso anche se ora ovviamente è troppo presto lasciamola iniziare a lavorare almeno però Buenos Aires sì lì vorrei andarci proprio nulla nulla stop.

(marco)

Monday, May 21, 2012

Il Sole di York


Vivevo in un quartiere popolare come molti altri e lo facevo solo da pochi mesi. Era un complesso di quattro o cinque palazzi che circondavano un grosso spiazzale in cui avevo visto spesso bambini giocare e vecchiette appoggiare le buste della spesa. Era pieno di cani.
Quella sera non era ancora estate, ma ci mancava poco. Tornavo a casa verso le dieci quando mi bloccai di colpo alla vista della piccola piazzetta. Decine di sedie erano state riposte lungo il suo perimetro, con riflettori e microfoni puntati verso il centro. Erano tutte occupate, ma nessuno parlava. Al centro un attore sembrava recitare qualcosa. Ora che l’inverno del nostro scontento è reso estate gloriosa… sentivo scandire, e rabbrividivo, e tutti a circondare quelle parole, e la tassa sulla prima casa appariva lontana come lontana era Stratford-upon-Avon, come lontana eri tu, molto. La luce sembrava regalare l’eternità a quell’uomo ben vestito e qualcosa di soltanto leggermente inferiore a tutti gli spettatori. Rimasi lì fermo non so quanto tempo, a immaginare di poter ripetere all’infinito alcuni episodi della mia vita come in una qualche commedia immortale che sicuramente poi mi annoierebbe anche quella.
Poi sentii un ago infilarsi nel mio collo. Istintivamente avevo portato una mano sull’epicentro del dolore e avevo avvertito qualcosa di alato e rigonfio esplodere sotto le dita. Avevo generato uno strano rumore di morte e l’attore se ne era accorto. Soltanto lui. Lo avevo visto volgermi lo sguardo. Non c’era nessun altro rumore nell’aria. I suoi occhi brillarono un attimo a volermi dire qualcosa che io sentivo di aver capito e che avrei tenuto sempre per me. Poi l’avevo visto girarsi e tornare a recitare.
Avevo il lato destro del collo sporco del sangue di qualcun altro e sentivo adesso qualcosa ad esso correlato entrarmi dentro. Qualcosa che quell’attore poteva capire. Sentivo di dovermi chiudere a riccio fino al termine della notte. Non avrei potuto imparare altro quella sera. La magia era finita. Era il momento di tornare a casa.

(marco)

Friday, May 18, 2012


Un mancato investimento nel Mezzogiorno (seconda e ultima parte)

Dovevano riconoscere che la soluzione più semplice probabilmente era quella giusta. Erano in un luogo ostile. Nessuno li avrebbe aiutati. Una certa solitudine cominciò a montare loro dentro. L’ipotesi del suicidio che iniziava a crescere dentro di loro non era che una naturale conseguenza. Sfortunatamente anche la caramella mou, da ingerire in situazioni di estrema emergenza, era rimasta all’interno dell’astronave. In questo paese non si riesce neanche a morire, cazzo, questo il pensiero dell’impulsivo vulcaniano B, abituato ai combattimenti più atroci nelle terre desolate di Ygramul e Zymorion e agli animali più feroci della costellazione di Clarabella, nell’Oceano Spaziale Pacifico Minore. Conosceva tutto questo e anche molto di più il vulcaniano A, capo di questa che doveva essere la più semplice delle ricognizioni da lui condotte nel paese più arretrato e lontano che mai avessero visitato, una missione di mera osservazione e analisi di un paese debole, che sembrava poter essere sfruttato industrialmente.
Ma nonostante questo i vulcaniani A, B e C ignoravano quello che, soprattutto in un luogo dove campeggiava un triplo teschio mortale, è un concetto cardine della società terrestre: l’azione del furto. Non capivano perché un individuo A dovesse prendere un oggetto di proprietà dell’individuo B senza l’autorizzazione di quest’ultimo. Magari anche architettando qualche ingegnoso tranello per fregare il proprietario. Questa ignoranza era costata loro tantissimo, praticamente tutto.
Ed ora quei nove occhi fissavano il cielo. Avrebbero tanto desiderato un altro più grande potere, quel teletrasporto che non esiste nemmeno su Urano e che ora avrebbe fatto così comodo, come dicono tutte le mamme del mondo ai propri figli almeno una volta. Non avevano speranze, e tutti i terrestri potevano capire come si sentivano perché sulla Terra se non hai speranze ti manca proprio la benzina per proseguire, e senza caramella mou ci voleva ancora più coraggio per prendere l’unica decisione razionale che tre alieni dispersi a Bari potessero prendere. Stavano meglio persino i carcerati italiani, che un qualche laccio per impiccarsi lo trovano sempre.
Ricordo che come al solito fu l’impetuoso vulcaniano B a smuovere lo stallo del capo e proporre quello che nessuno voleva proporre. Il ricorso al Punto M.
Tutti i vulcaniani con esperienza nei corpi speciali sono a conoscenza dell’esistenza di un punto del corpo vulcaniano che, se sottoposto a una pressione di un dito indice vulcaniano per dieci minuti ininterrotti, causa la rottura del cento per cento delle pareti della pelle e lo sfaldamento della loro esile struttura ossea. Il risultato è che il vulcaniano si disintegra in una fine polverina verde.
Ma allora perché prevedere la caramella mou per le emergenze quando bastava toccarsi questo punto del corpo per inesorabilmente morire? Semplicemente perché questa procedura di suicidio è mostruosamente dolorosa, insopportabilmente atroce e, per precise ragioni fisiche che non sto qui a raccontarvi ma che vi garantisco di conoscere, è tanto più doloroso quanto più si è distanti da Urano. In questo caso si tratterebbe di un dolore universale, spezza ossa ed asciuga lacrime. Ma questa era una delle poche cose che i tre vulcaniani sapevano.
Per queste condivisibili ragioni l’alieno A e quello C avevano strabuzzato gli occhi quando il prode vulcaniano B aveva preso a toccarsi il naso e a tener lì il suo dito mentre  i suoi occhi iniziavano ad inumidirsi fissando le stelle. E paradossalmente sembrava più doloroso attendere ben 10 minuti l’arrivo del dolore stesso e i vulcaniani si chiedevano perché, perché l’attesa non avrebbe potuto essere di qualche secondo, anche un minuto intero andava bene. Ma dieci! E intanto anche il loro dito rimaneva lì sul naso perché avevano capito che discutere con i terrestri sarebbe stata una perdita di tempo e che incontrarli avrebbe significato essere catturati e torturati e mangiati vivi come le aragoste o magari smontati pezzo per pezzo come la loro povera astronave che chissà su quale Fiat Tipo ci hanno montato i pezzi, e allora sembrava quasi raccomandabile questa fine solitaria su un prato verde a sette milioni di chilometri da casa loro ma questo non è mai stato un problema per i vulcaniani che si sa non hanno paura degli spazi vuoti ma piuttosto le spiagge di agosto li atterriscono e come li capisco. Mancavano cinque minuti mio dio ancora cinque minuti pensava il vulcaniano C quello ingenuo mentre il coraggiosissimo B cercava di non piangere perché voleva morire come era vissuto e per non farlo guardava la maestosa figura dello stadio San Nicola di Bari stagliarsi sulle loro antenne, una gigantesca trappola per topi intergalattici in cui erano incappati e l’ironia della sorte era che nessuno di loro poteva sapere che nel bar dello stadio a pochi metri da loro le caramelle mou erano impacchettate e vendute a tifosi che avevano bisogno di essere addolciti da una dolcezza che per i vulcaniani sarebbe stata letale, ma soavemente letale, un semplice amichevole arresto cardiaco e buonanotte a Bari, Cerignola e questo buco intero. Mancava un minuto, uno solo e penso che anch’io come loro l’avrei trascorso con lo sguardo verso casa, sessanta interi secondi che sembravano sessanta passi in salita sull’Etna che a questi vulcaniani sarebbe sicuramente piaciuto – ormai i secondi sono trenta  – cercando di immergersi in qualcosa di più familiare e tranquillizzante di uno stadio vuoto, vuoto, vuoto – dieci secondi – lo sentivo rimbombare questo vuoto mentre sentivo i vulcaniani A, B e C crollati sul cerchio di centrocampo e in una lentissima agonia urlare “ghhiiiiiiiiaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaajjjjkkkkkkkkkk k nooooooooaoaaaaaaa  flusc flusc flusc flusccccc gatttaaaaaaaaaaaaaappppppiiiiiieeeerrrrooooooooxxxxxxaaaa pp prennnnnnciiiiiiiiiiiipppppeeeeeeeeeeeeeexxx ttiiiixxxxxbbbattttooooooxxxxxx”
e intanto diventavano una leggerissima polverina verde che andava a mescolarsi con l’erba, mentre il rumore dei condizionatori e delle auto con la voce rauca proseguiva sullo sfondo accompagnando come sempre ogni attività di questo pianeta di ladri. L’ultimo suono terrestre che il loro udito riuscì a filtrare fu un lontano abbaiare di cani randagi che anche loro per una caramella mou avrebbero dato l’anima e i clacson, i clacson, i clacson, maledetto quello che ha inventato i clacson.
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Ricordo che il giorno dopo la partita era iniziata regolarmente alle 15. Anche gli spalti erano regolarmente semideserti. Pochi minuti dopo il fischio d’inizio avevo visto i centrocampisti centrali delle due squadre accasciarsi al suolo lamentando un terribile bruciore alla gola e agli occhi e un offuscamento della vista. Lo stesso arbitro, rimanendo vicino il cerchio di centrocampo durante i soccorsi, aveva iniziato ad accusare i medesimi sintomi. Anche i poveri barellieri, tutti giù per terra.
La partita fu sospesa, il campo completamente rizollato, il problema parzialmente risolto. Ma ancora oggi fare due passi lì nel Meridione lascia un po’ di amaro in bocca.

(marco)

Wednesday, May 16, 2012


Un mancato investimento nel Mezzogiorno (parte prima)


Importanti finanziamenti per la nostra città sembrano arrivare! Le nostre disastrate casse si dice possano venire rimpinguate da incredibili investitori provenienti da alcune stelle vicino Marte e Urano.
Ho letto da qualche parte che i vulcaniani vogliono sistemare tutti i campanili del mondo a patto che venga loro consentito di installare su ciascuno di essi un maxi trasmettitore capace di consentire anche ai viaggiatori vulcaniani di poter recepire la loro tv via cavo, notoriamente la migliore dell’Universo, con programmi di approfondimento ad ogni ora e senza talk show politici.
Il progetto però è fallito. I ricchi investitori stranieri hanno improvvisamente abbandonato il tavolo delle trattative. Non sono state fornite motivazioni ufficiali, ma si sussurra che abbiano deciso di mollare tutto in seguito alla vista della città di Bari. La delegazione vulcaniana, infatti, aveva scelto come quartier generale la sconvolgente città meridionale, attratta dalla forma spaziale dello stadio cittadino. Quale altra città poteva possedere un tale maestoso Tempio – peraltro adornato al suo interno da una sostanza morbida e verde – se non la capitale del pianeta Terra?  Il problema è che, distratti da cotanto verde, gli alieni erano usciti tutti dall’astronave e, mentre questi iniziavano ad esplorare il prato del San Nicola, un gruppo di predoni locali aveva rubato l’astronave dileguandosi con un mare di vivande e gazebo e piatti di plastica nei cieli baresi diretti verso la Foresta Umbra, loro abituale area ricreativa. Ma questo gli alieni non lo sapevano.
Questo era il problema. Non sapevano troppe cose. Avevano commesso un grosso errore presentandosi in queste terre ostili e lontane senza conoscere adeguatamente la fauna locale. Se avessero studiato meglio le carte universali avrebbero visto il triplo teschio mortale che campeggiava sui cieli di Bari.
Per chi non lo sapesse, infatti, la legenda dei teschi stilata dalle carte universali è la seguente:

-      Un Teschio (Monoteschio). Razzismo latente, cibo freddo, bambini maleducati,   presenza di CL

- Due teschi chiari (Biteschio chiaro). Tutto quello di cui sopra più: creazionismo, capillare presenza di CL, abusivismo edilizio

- Due teschi nerissimi (Biteschio oscuro). Tutto quello di cui sopra più: 6 automobili per nucleo familiare, CL ai vertici politici, evasione fiscale legalizzata

- Tre teschi (Triteschio). Tutto quello di cui sopra più: caporalato e schiavitù diffuse, presenza della Città del Vaticano, frequente ricorso al coprifuoco.

- Tre teschi nerissimi (Triplo teschio mortale). Tutto quello di cui sopra più ancora altre sciagure: utilizzo di linguaggi ancestrali, frodi assicurative frequenti, contrabbando di qualsiasi oggetto, spaccio part time.

- Quattro teschi (Il Poker di Teschi). Tutto quello di cui sopra più ANCORA: agguati nelle rotonde, rapine come attività ricreativa, furto di camion legalizzato e frodi assicurative quotidiane, ricorso a bambini soldato, spaccio full time.

Sull’esistenza del famigerato Poker di teschi sono state scritte migliaia di pagine. La leggenda vuole che un poker di teschi aleggi su un’area prossima alla città messicana di Juarez. Altri, compresi alcuni amici miei, giurano di aver visto un Poker di teschi nei pressi del Vesuvio. Ma l’unica città capace di ottenere tale status ufficialmente dall’Osservatorio Universale è stata una cittadina del Tavoliere delle Puglie chiamata Cerignola. Da questo dato ufficiale le mamme aliene di tutto l’Universo traggono spunto quando per riportare all’ordine i propri figli esclamano: “Jigryzyl, ti porto a Cerignola se non fai il bravo”.
Ma anche Bari con il suo triplo teschio mortale non era male. L’astronave ormai sarà già in mille insoliti pezzi smontati in qualche sfasciacarrozze di Foggia o del Barlettano. Non oso immaginare lo smarrimento dei tre alieni, bloccati senza automobile sul prato del San Nicola di Bari. E, si sa, affidarsi ai mezzi pubblici non è proprio la migliore delle idee dalle nostre parti.
Insomma, i vulcaniani erano disperati. Si guardavano negli occhi che erano nove su quel campo quel giorno perché ognuno di essi ne ha tre disposti a formare un triangolo isoscele. Il più ingenuo dei tre pensava potesse essere uno scherzo, una specie di gioco di benvenuto della gente locale. Capirono davvero che erano perduti, che una disattenzione di un istante può far male se sei a sette milioni di anni luce da casa, specialmente se poi pensi bene di atterrare a Bari. Tutto era perduto. Anche trascorse le dodici ore di rito che il Centro di Comando attendeva prima di mandare una squadra di soccorso, quest’ultima ci avrebbe impiegato almeno quattro giorni terrestri per arrivare in questa remota e anarchica località. Nel frattempo, come avrebbero resistito? La loro totale sprovvedutezza li rendeva ignari del fatto che era venerdì e il giorno dopo ventidue uomini seminudi avrebbero dato luogo ad un evento che i terrestri in questo caso chiamavano Bari-Torino. Oltre ai pericoli enormi legati all’incontro con gli autoctoni, infatti, ogni vulcaniano non può condividere uno stesso luogo con più di dieci – quindici per i più in forma –  esseri viventi nello stesso tempo. Non che alle partite del Bari ci sia molta più gente, ma i soli calciatori in campo sarebbero stati ventidue, dunque… nuvole nere si addensavano sulle antenne dei tre vulcaniani. Quando si commette la sciocchezza di trovarsi in una situazione simile il vulcaniano esplode, ed è un orrido spettacolo, roba che neanche giornalisti e avvocati riuscirebbero a resistere. Per non parlare della puzza di zolfo e mele marce che impregna a vita il luogo e le persone in cui i fluidi corporei si depositano.
Penso che ormai anche il lettore si sia reso conto che tutto era perduto. Il vulcaniano A ancora non riusciva a crederci. Un istante prima era il capo della coraggiosa delegazione di un popolo più evoluto che voleva espandere i propri confini, delocalizzare – ma di molto – le proprie imprese. Un attimo dopo era il leader di tre naufraghi da Guinness dei Primati su un campo con delle strane aste bianche in lontananza che gli ricordava i tramonti del loro Sole bianco rettangolare nei pomeriggi d’inverno.
Forse era una trappola che i baresi ci hanno teso, pensava il vulcaniano B. Hanno costruito questa finta astronave per attirarci, toglierci ogni mezzo di sostentamento e imprigionarci qui dentro. Poteva essere. Forse tutta la popolazione barese si stava preparando al nostro arrivo e ora si sta complimentando con i capi delle forze armate e i politici stanno lucidando la loro dentatura in attesa della conferenza stampa.
Ma non poteva essere. Erano troppo arretrati. Come avrebbero potuto sapere che stavamo arrivando? L’obiezione del vulcaniano C, quello ingenuo, era giustissima. Stiamo parlando di una società arretratissima. Avevano ancora le religioni! Qualche anno prima erano riusciti a farsi attaccare da quattro arabi con un taglierino che praticamente con questi mezzi ridicoli avevano cambiato tutto in peggio. Potevano mai intercettare alieni da Urano? No, non era possibile.

(marco)

Monday, May 14, 2012


gabinetti

Questi maledetti pantaloni del pigiama si tirano sempre su mentre mi infilo nel letto ed anche se è maggio ed è caldo io ho freddo ed anche se è maggio e ho ancora le coperte di flanella mi sento tra Ucraina e Bielorussia stanotte. Domani ho un colloquio con un’azienda ultra innovativa specializzata nel fare pubblicità nei gabinetti. Dicono sia il business del futuro. Non so se è vero, come non so se questa innovazione preveda almeno un obsoleto rimborso spese. Sembra ci stiano apparecchiando un mondo di economisti ma io non mi ci ritrovo, io non ti ritrovo stanotte ma forse neanche domani, sono circondato da amici che spendono 800 euro al mese per guadagnarne 300 se va bene o zero in alcuni casi pittoreschi, e nessuno che vuole tornarsene a casa nel Meridione perché diciamoci la verità, ci stiamo disaffezionando alla nostra prima casa, è inevitabile se uno emigra e non vuole fare il giacomo leopardi del ventunesimo secolo. Comunque non lo so, o mi do malato e continuo a pedinarti o indosso la giacca dei colloqui e mi faccio un altro giro turistico a Trastevere. Che strana vita, e tutti a dirci che è temporaneo ma alla fine cosa non lo è? È un’osservazione scontata, un giorno forse smetteremo di sentirci vittime dei tempi e riprenderemo il controllo dei nostri cervelli e sarà festa grande, vedrai cara, non abbatterti diventerò un buon partito, prima o poi un rimborso spese lo rimedio e andremo a festeggiare a Parigi o a Sorrento.

(marco)

Sunday, May 13, 2012


Tempo e Spazio

Quel giorno, dopo che ti ho vista
qualche simpaticone rovesciò il mondo
e mi ritrovai a camminar sul cielo,
palazzi e case erano inarrivabili
il suono del clacson era ricordo vago,
le nuvole invece, che te lo dico a fare?
ci sguazzavo come in uno stagno;
nulla di fronte a me
nulla che mi desse da riflettere, nulla da pensare
su quel tappeto azzurro e sconfinato
elugubravo al massimo sulle correnti d'aria;
era diverso, era un pò strano,
avere tempo e spazio per pensare solo a te;
ma la realtà è che dopo un pò mi son scocciato
di stare solo, in mezzo al nulla
e poi faceva freddo, un freddo cane.
E allora mi chiedevo solamente,
quando mi avrebbero rirovesciato il mondo.

Giulio

Friday, May 11, 2012


Il Beneficio del dubbio

Fu impressionante l'improvviso sparire
della luce dagli occhi,
l'opacità dietro al quale decise di nascondersi
nel passaggio dal credo al non credo,
proprio mentre Marie
osservava la strana traiettoria
del suo boomerang lanciato nel futuro,
e realizzava dopo un pò che non sarebbe più tornato
ma questo non la faceva pensare affatto.
I suoi peggiori amici tornavano a trovarla,
 a farle compagnia
e suggerirle nell'orecchio le risposte sbagliate
durante le interrogazioni di Miss Laif;
Ogni tanto e con gran sorpresa
un fulmine di pensiero riusciva
a farsi spazio tra quei rovi:
oh se ci fosse stato ancora Benateau,
già quello avrebbe voluto dire che, se avesse voluto dir qualcosa,
ma forse no.

Giulio

Con una Ford usata

Mi dovevo laureare quel pomeriggio alle due.
C’era la vostra macchina presa in prestito che veniva da lontano e a mezzogiorno era parcheggiata sotto casa. Era stato un lungo viaggio. Eravate stanchi ed io lo so anche affamati perché lo siete sempre. Mi sembrava così ridicolo non fare nemmeno un pranzo con i migliori ragazzi che conosco e ho sempre lontano non per colpa nostra, non so perché. Allora io e lei abbiamo comprato molta pasta e mentre mi sistemavo la cravatta mescolavo la pancetta e la mia felicità era commisurabile ai carboidrati che stavo preparando.
Ci siamo seduti a tavola tutti insieme dopo non so quanto tempo. C’era gente da Foggia, Catania, Bologna, Padova, Parma, Roma, Siena, il Gargano tutto, Sansepolcro-provincia-di-Arezzo, il New Jersey e la Svizzera. Ridevamo e bevevamo vino e brindavamo a un’amicizia che non finisce perché queste non sono cose con la data di scadenza tipo come l’amore. All’una e mezza eravamo un po’ brilli ed io dovevo cercare di chiudermi la giacca. Avevo gli occhi lucidi così tanto che avreste potuto strizzarmi e usare i miei liquidi per lucidare la Ford che vi avevano prestato per arrivare fin qui.
La discussione è andata nell’unico modo possibile. Mi sentivo fortunato,  ma anche un po’ orgoglioso, forse qualcosa finora l’avevo fatta bene e non si tratta dell’Università, che potevo farla meglio. Il sole era alto quasi come oggi e voi eravate vicinissimi quasi come oggi.
Poi ricordo che era notte e visto che non trovavate parcheggio ve ne siete tornati direttamente nel Gargano e non ero stupito mica, perché io nulla so del mondo e di quello che ci succederà ma conosco tutto di noi, e questo conforta e rallegra. Vi ho salutato di notte per strada, l’ho fatto in dialetto come si fa dalle nostre parti per tutte le cose importanti che si vogliono dire.
Poi sono tornato a casa. Ho rivisto la tavola con la tovaglia di stamattina ben ripiegata ed in ordine. Non ricordo chi è stato quel santo che ha sparecchiato ma sicuramente si trattava di un mio amico.

( marco )

Wednesday, May 9, 2012

Dietro le sbarre della libertà

Johnny era stato chiuso in carcere alla tenera età di 19 anni, per omicidio plurimo colposo. Non sapeva assolutamente come era fatto il mondo lì fuori, osava solo immaginare quali perle potessero essere raccolte nelle sabbie dei mari profondi del pianeta.
Aveva desiderato, bramato, aspettato per venti lunghissimi anni di uscire di lì, pensando a tutto ciò che avrebbe fatto, progetti e idee che nello spazio di una cella non possono che rimanere tali. Ma ora, che mancava solo un mese al suo rilascio, iniziava ad esser sopraffatto da una serie di strani sentimenti: paura, insicurezza, sgomento; passava notti insonni o tormentate dagli incubi; una di queste, sognò  una montagna che gli crollava addosso come se fosse disegnata su uno scenario.
Arrivato il giorno del rilascio, Frank, il secondino che ormai lo conosceva da 7 anni, lo prelevò dalla cella e lo accompagnò sin fuori dal cancello del carcere, dove ad attenderlo c'era già un taxi; dopo averlo salutato calorosamente Frank si voltò e si diresse verso l'ingresso, ma nel metter mano alla fondina (cosa che spesso Frank faceva in maniera compulsiva poichè gli procurava  sicurezza) notò che la pistola non c'era; si girò di scatto e vide Johnny che faceva esplodere cinque colpi all'indirizzo del tassista; tre di questi lo colpirono al volto e in testa. Era morto.
Johnny avrebbe passato molto altro tempo in carcere. La sensazione di paura e di oppressione che provava da qualche tempo a questa parte iniziava lentamente a svanire.

Giulio

Fiducia

Fili di carta e fogli di lana,
e cieli neri come il piombo in pieno mattino
mi facevano pensare che
non ci avevo capito niente,
che avevo vissuto in un mondo
e nutrito speranze in esso
vane come i respiri sotto l' acqua.
Mi chiesi di cambiare punto di vista;
mi chiesi troppo; voleva dire
scambiare gli occhi con quelli d'un cieco;
non ne avevo il coraggio
benchè l'enciclopedia, letta al contrario,
nel verso giusto,
mi svelasse che egli vive meglio, in una stanza buia
come questo mondo.
Preferì il fardello di un osservatorio privilegiato
e preferì continuare
a credere che il ricredersi sia cosa ciclica,
che possa accadere più d'una volta sola.

Giulio
Amalfi

La finestra di fronte,
il mare e i monti  condividevano
lo spazio di luce astratta;
ho mirato al di là della vicinanza
ed una lama affilata
mi ha mozzato il fiato,
un gelo improvviso mi ha
cristallizzato il respiro;
in quel momento avrei preteso
di fondermi in ciò che vedevo,
unirmi a ciò che vedevo
in una sorta di amplesso,
di essere quello che avevo negli occhi.
E' una sensazione che sfiora e anzi precipita nell'assurdo,
La Bellezza di uno Scenario.
Impotenza credo, si provi
impotenza quanto all'essere,
quanto all'avere, impotenza quanto al toccare;
come se ciò che si ha dinanzi non sia,
poichè non detiene i requisiti dell'esistenza,
seppur così, non è.
Forse è la impotenza che si è detto
a renderlo bello quanto  ed in quanto,
irraggiungibile;
rincorrere un'immagine credo non sia possibile,
appena fatto un passo
essa è già divenuta un'altra.

Giulio

Non ho capito se è la polonia o no
io credo che i luoghi in cui vivi segnino il tuo corpo
vorrei poter esaminare le vene degli hawaiani
compararle con quelle dei polacchi
non possono essere uguali, dai
non scherziamo
pelli spaccate nasi rossi occhi gonfi
il freddo è la metafora di una brutta notizia
che nessuno è preparato ad affrontare
In un posto sicuro, portami in un posto sicuro
a sperare di svernare  

 ( marco )

Tuesday, May 8, 2012


biglie

Ricordo che era marzo e stavamo cadendo in prescrizione e i nostri avvocati d’ufficio non sembravano turbati come noi. Un vecchio del quartiere Junno, uno di quelli che sa come si sta al mondo, mi voleva insegnare a calcolare quando i giovani cadono in prescrizione. Mi ha spiegato che ovviamente dipende dai tempi. Ai suoi tempi il tasso di invecchiamento giovanile era di 0,8. Quindi la regola diceva che dovevi moltiplicare l’età del ragazzo per 0,8. Questo perché l’Italia era giovane e fresca, mi diceva sempre il vecchio che sembrava lì lì per crepare, e soprattutto era povera e affamata, un elemento che sembra moltiplichi le forze dei meno vecchi e di conseguenza la prescrizione era lontana.
Il vecchio affermava con certezza che quando questa moltiplicazione ti avrebbe dato un numero superiore a 70 beh allora c’era poco da fare, la tua giovinezza era caduta in prescrizione.
Questo vecchio sembrava sapere il fatto suo, perché dopo settimane di calcoli astronomici e di limoncello sul selciato della basilica era scattato in piedi con il proverbiale “Eureka!” e i polacchi della chiesa prontamente l’avevano cacciato a calci e c’era il rischio che dimenticasse il fondamentale numero partorito poco prima. E dunque il vecchio aveva calcolato il tasso del 2012 e aveva mandato un messaggero a piedi a Roma che guarda caso quel pomeriggio c’era la Roma-Ostia e lui dopo essersi classificato quinto nella classifica di categoria mi aveva recapitato il messaggio ed era spirato sulla via del Mare, che fine di merda, su quella strada non ci sono nemmeno i lampioni.
Ed allora io avevo preso l’eurostar e tempo 4 ore e 2 guasti – uno a benevento l’altro tipo a cervaro – ero arrivato a casa del vecchio che aveva indossato per l’occasione la faccia delle brutte notizie o forse era la cirrosi, che ne so,
fatto sta che mentre lo sentivo rivelarmi che il tasso attuale era 2,8 aveva iniziato a fare un rapido calcolo e mi era uscito 72,8, mio dio. Questo voleva dire che magari non avevo la cirrosi ma forse non avevo poi molte chances in più di quel vecchio ragioniere, che a pensarci a questo punto avrebbe anche potuto farsi i fatti suoi e lasciarmi allo 0,8 degli anni cinquanta e vai col tango.
Ricordo che mi stavo ancora maledicendo quando mi avevi chiamato e mi avevi detto di tornare perché  ti sentivi sola senza di me ed in quel momento
coefficiente o non coefficiente
ero felice, e le calcolatrici avrei fatto meglio a buttarle, meglio ripudiare ancora una volta la matematica e tornare da te che mi riempi le arterie di biglie colorate
e il mondo oggi è giovane e bello ed io ne sono il leader indiscusso

(marco)

Monday, May 7, 2012




Visioni e Divisioni

 Ecco, erano finalmente stesi nel sacco a pelo, strettissimi tra loro, non costretti da nessuno, in quel magazzino abbandonatissimo all'ultimo piano del palazzo sulla cinquantaduesima che avevano occupato dopo essersi arrampicati per la bellezza di un centinaio di metri lungo il tubo di scolo, ubriachissimi. Era dicembre inoltratissimo e faceva un freddo cane perchè la finestra per entrare l'avevano dovuta spaccare con un portachiavi; quante volte lei lo aveva preso per il culo perchè si portava dietro quel moschettone di dimensioni insolite, che gli faceva venir giù tutti i pantaloni; bene, oggi era servito a qualcosa. Grazie a dio, a quel moschettone e alla loro deficienza, avevano un posto dove dormire; molto meglio della panchina della notte prima, in pieno Village, insieme ai barboni e ai ricchi di strada. Da giù veniva il suono della tromba del jazzista del locale di fronte, pieno di irlandesi tra l'altro, dove si erano scolati le loro dodici birre in due. Era una situazione di merda, ma era una situazione in cui erano insieme e per di più coperti, e per un attimo era come mettere una coperta sui tutti i maledettissimi problemi, ripararsi dal ghiaccio che portavano anche fra di loro, quei problemi, che lì per lì sembravano allontanarli e farli scazzare ogni secondo, ma avrebbero capito solo dopo, forse, essere materia prima della colla li teneva stretti.

   -Jackie ringraziava spesso il cielo di averla al fianco, a fianco a lui a nuotare nelle fogne in cui si era ritrovato dopo la morte dei suoi genitori, in quell' incidente in cui "qualche dio bastardo a lui non aveva risparmiato la morte" per dirla con parole sue; da quel momento, infatti, era rimasto completamente solo e senza il becco di un uccello; nessuno aveva avuto il coraggio di caricarsi della responsabilità di un ragazzo così "difficile", come lo aveva sempre definito suo zio Stan (quel viscido pezzo di merda-come lo definiva sempre Jackie-). Quanto a  Brenda, se  aveva deciso di scappare di casa e di rischiare tutto insieme a lui, aveva anche lei i suoi ottimi motivi, o meglio il suo ottimo motivo; il padre difatti non incarnava esattamente la figura del padre e dell'uomo modello; le alzava spesso le mani per alleggerire il peso della sua frustrazione e lei iniziava a temere che presto, se non se ne fosse andata, i loro nomi sarebbero finiti sul giornale alla pagina della cronaca nera, in un articolo intitolato tipo: "un'altra tragedia in una famiglia di Capecode"; già perché lei lo avrebbe di sicuro ammazzato con le sue mani; aveva immaginato più volte anche la scena: lo avrebbe colpito forte e ripetutamente in testa con la sua stessa mazza da baseball d' acciaio, quella firmata dal grande Ruth, intorno alle tre di notte; colpito alle spalle mentre guardava quegli squallidi spettacoli porno (abitudine che aveva già quando sua moglie era ancora  viva) pieni di donne asiatiche che cercano di eccitare i telespettatori dicendo porcate di tutti i tipi in un un americano stentato -cristo quanto le odiava- .-

Comunque ora i due ragazzi erano insieme ed era questa l'unica cosa che contava; Jackie, forse più di Brenda, questo lo aveva capito, se non fosse altro che perchè rifletteva sulle cose molto più di lei, e di tutti gli altri probabilmente.

   In quel magazzino c'era una vecchia tv che dormiva ormai chisà da quanto; era proprio di fronte a loro; lui si alzò e si avvicinò con pochissime speranze che funzionasse, attaccò la spina e fece per accenderla; d'un tratto apparve un'immagine nello schermo: orribile, uno scheletro in un sacco a pelo, proprio come quello in cui dormivano; c'era un piccolo problema: la tv era ancora spenta.
Deglutì e si girò verso di lei: lei era uno scheletro in un sacco a pelo; pensò che aveva bevuto qualche birra di troppo e si fiondò per avere la conferma che ciò che vedeva era frutto delle sue allucinazioni saltellanti, ma quando andò per abbracciarla si trovò in mano un cumulo di ossa; strano facevano proprio il rumore del legno.
Che cazzo significava? si era immaginato tutto prima, o si stava immaginando tutto ora? di certo il gelo era rimasto, anzi ora sembrava fare più freddo di prima, ogni tanto qualche pezzettino di vetro della finestra cadeva sul pavimento, e probabilmente ogni tanto anche per strada. Il freddo ora era insopportabile, le sue labbra erano diventate viola; la musica che veniva dal locale era assordante e le sirene della polizia si mischiavano alle urla dei barboni ubriachi: un concerto infernale. La sbornia iniziava lentamente a diventare paranoia e l'ansia gli faceva venire una nausea bestiale. Chisà se c'era un bagno in quel posto di schifo; cercare un bagno? ma cosa diamine mai gli passava per la testa? vomitò tutto per terra e quindi come se non bastasse si aggiunse anche il fetore. Era una situazione di merda, una situazione di merda e basta.


Giulio


stamattina a francoforte

come il rumore del traffico  in sottofondo mentre dormi a Bangkok come le luci della mia città che non distinguo all'orizzonte  è in que...