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Friday, May 18, 2012
Un mancato investimento nel Mezzogiorno (seconda e ultima parte)
Dovevano riconoscere che la soluzione più semplice probabilmente era quella giusta. Erano in un luogo ostile. Nessuno li avrebbe aiutati. Una certa solitudine cominciò a montare loro dentro. L’ipotesi del suicidio che iniziava a crescere dentro di loro non era che una naturale conseguenza. Sfortunatamente anche la caramella mou, da ingerire in situazioni di estrema emergenza, era rimasta all’interno dell’astronave. In questo paese non si riesce neanche a morire, cazzo, questo il pensiero dell’impulsivo vulcaniano B, abituato ai combattimenti più atroci nelle terre desolate di Ygramul e Zymorion e agli animali più feroci della costellazione di Clarabella, nell’Oceano Spaziale Pacifico Minore. Conosceva tutto questo e anche molto di più il vulcaniano A, capo di questa che doveva essere la più semplice delle ricognizioni da lui condotte nel paese più arretrato e lontano che mai avessero visitato, una missione di mera osservazione e analisi di un paese debole, che sembrava poter essere sfruttato industrialmente.
Ma nonostante questo i vulcaniani A, B e C ignoravano quello che, soprattutto in un luogo dove campeggiava un triplo teschio mortale, è un concetto cardine della società terrestre: l’azione del furto. Non capivano perché un individuo A dovesse prendere un oggetto di proprietà dell’individuo B senza l’autorizzazione di quest’ultimo. Magari anche architettando qualche ingegnoso tranello per fregare il proprietario. Questa ignoranza era costata loro tantissimo, praticamente tutto.
Ed ora quei nove occhi fissavano il cielo. Avrebbero tanto desiderato un altro più grande potere, quel teletrasporto che non esiste nemmeno su Urano e che ora avrebbe fatto così comodo, come dicono tutte le mamme del mondo ai propri figli almeno una volta. Non avevano speranze, e tutti i terrestri potevano capire come si sentivano perché sulla Terra se non hai speranze ti manca proprio la benzina per proseguire, e senza caramella mou ci voleva ancora più coraggio per prendere l’unica decisione razionale che tre alieni dispersi a Bari potessero prendere. Stavano meglio persino i carcerati italiani, che un qualche laccio per impiccarsi lo trovano sempre.
Ricordo che come al solito fu l’impetuoso vulcaniano B a smuovere lo stallo del capo e proporre quello che nessuno voleva proporre. Il ricorso al Punto M.
Tutti i vulcaniani con esperienza nei corpi speciali sono a conoscenza dell’esistenza di un punto del corpo vulcaniano che, se sottoposto a una pressione di un dito indice vulcaniano per dieci minuti ininterrotti, causa la rottura del cento per cento delle pareti della pelle e lo sfaldamento della loro esile struttura ossea. Il risultato è che il vulcaniano si disintegra in una fine polverina verde.
Ma allora perché prevedere la caramella mou per le emergenze quando bastava toccarsi questo punto del corpo per inesorabilmente morire? Semplicemente perché questa procedura di suicidio è mostruosamente dolorosa, insopportabilmente atroce e, per precise ragioni fisiche che non sto qui a raccontarvi ma che vi garantisco di conoscere, è tanto più doloroso quanto più si è distanti da Urano. In questo caso si tratterebbe di un dolore universale, spezza ossa ed asciuga lacrime. Ma questa era una delle poche cose che i tre vulcaniani sapevano.
Per queste condivisibili ragioni l’alieno A e quello C avevano strabuzzato gli occhi quando il prode vulcaniano B aveva preso a toccarsi il naso e a tener lì il suo dito mentre i suoi occhi iniziavano ad inumidirsi fissando le stelle. E paradossalmente sembrava più doloroso attendere ben 10 minuti l’arrivo del dolore stesso e i vulcaniani si chiedevano perché, perché l’attesa non avrebbe potuto essere di qualche secondo, anche un minuto intero andava bene. Ma dieci! E intanto anche il loro dito rimaneva lì sul naso perché avevano capito che discutere con i terrestri sarebbe stata una perdita di tempo e che incontrarli avrebbe significato essere catturati e torturati e mangiati vivi come le aragoste o magari smontati pezzo per pezzo come la loro povera astronave che chissà su quale Fiat Tipo ci hanno montato i pezzi, e allora sembrava quasi raccomandabile questa fine solitaria su un prato verde a sette milioni di chilometri da casa loro ma questo non è mai stato un problema per i vulcaniani che si sa non hanno paura degli spazi vuoti ma piuttosto le spiagge di agosto li atterriscono e come li capisco. Mancavano cinque minuti mio dio ancora cinque minuti pensava il vulcaniano C quello ingenuo mentre il coraggiosissimo B cercava di non piangere perché voleva morire come era vissuto e per non farlo guardava la maestosa figura dello stadio San Nicola di Bari stagliarsi sulle loro antenne, una gigantesca trappola per topi intergalattici in cui erano incappati e l’ironia della sorte era che nessuno di loro poteva sapere che nel bar dello stadio a pochi metri da loro le caramelle mou erano impacchettate e vendute a tifosi che avevano bisogno di essere addolciti da una dolcezza che per i vulcaniani sarebbe stata letale, ma soavemente letale, un semplice amichevole arresto cardiaco e buonanotte a Bari, Cerignola e questo buco intero. Mancava un minuto, uno solo e penso che anch’io come loro l’avrei trascorso con lo sguardo verso casa, sessanta interi secondi che sembravano sessanta passi in salita sull’Etna che a questi vulcaniani sarebbe sicuramente piaciuto – ormai i secondi sono trenta – cercando di immergersi in qualcosa di più familiare e tranquillizzante di uno stadio vuoto, vuoto, vuoto – dieci secondi – lo sentivo rimbombare questo vuoto mentre sentivo i vulcaniani A, B e C crollati sul cerchio di centrocampo e in una lentissima agonia urlare “ghhiiiiiiiiaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaajjjjkkkkkkkkkk k nooooooooaoaaaaaaa flusc flusc flusc flusccccc gatttaaaaaaaaaaaaaappppppiiiiiieeeerrrrooooooooxxxxxxaaaa pp prennnnnnciiiiiiiiiiiipppppeeeeeeeeeeeeeexxx ttiiiixxxxxbbbattttooooooxxxxxx”
e intanto diventavano una leggerissima polverina verde che andava a mescolarsi con l’erba, mentre il rumore dei condizionatori e delle auto con la voce rauca proseguiva sullo sfondo accompagnando come sempre ogni attività di questo pianeta di ladri. L’ultimo suono terrestre che il loro udito riuscì a filtrare fu un lontano abbaiare di cani randagi che anche loro per una caramella mou avrebbero dato l’anima e i clacson, i clacson, i clacson, maledetto quello che ha inventato i clacson.
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Ricordo che il giorno dopo la partita era iniziata regolarmente alle 15. Anche gli spalti erano regolarmente semideserti. Pochi minuti dopo il fischio d’inizio avevo visto i centrocampisti centrali delle due squadre accasciarsi al suolo lamentando un terribile bruciore alla gola e agli occhi e un offuscamento della vista. Lo stesso arbitro, rimanendo vicino il cerchio di centrocampo durante i soccorsi, aveva iniziato ad accusare i medesimi sintomi. Anche i poveri barellieri, tutti giù per terra.
La partita fu sospesa, il campo completamente rizollato, il problema parzialmente risolto. Ma ancora oggi fare due passi lì nel Meridione lascia un po’ di amaro in bocca.
(marco)
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