Reading List
Sunday, May 27, 2012
Cappello
Compito: scrivere i pensieri che una singola parola ti innesca nella mente per i due minuti seguenti, senza staccare penna e cervello. Quando non ti viene niente, scrivi semplicemente niente, o nulla. Quando finisci scrivi stop.
La parola in questione oggi è: Cappello
Svolgimento: Quell’amico di Fausto si chiamava proprio così, Graziano, Graziano Cappello, doveva essere un pazzo o qualcosa del genere uno diventato un punto di riferimento a casa nostra senza nemmeno conoscerlo devo andarci in Sicilia ero piccolo l’ultima volta mi piace molto Siracusa poi ho solo bei ricordi. Nulla quel prof che viveva in casa con me di Floridia doveva essere se non sbaglio, che tristezza non sentirlo più ora sono tipo 3 anni che non lo sento mi dispiace molto ma davvero molto chissà pure se è vivo ricordo che era stato male che lavoro faceva? Non l’ho capito, secondo me aveva ragione Davide non lavorava al Ministero o almeno faceva qualcosa di meno importante di quello che diceva ma gli volevo bene. quella volta che l’hanno chiuso in camera e il giorno dopo aveva l’aereo per Buenos Aires. Nulla. anche lì sarebbe bello andarci con Fra e Fab a maggio devo cercare di convincere Fra che può chiedere qualche giorno di permesso anche se ora ovviamente è troppo presto lasciamola iniziare a lavorare almeno però Buenos Aires sì lì vorrei andarci proprio nulla nulla stop.
(marco)
Monday, May 21, 2012
Il Sole di York
Vivevo in un quartiere popolare come molti altri e lo facevo solo da pochi mesi. Era un complesso di quattro o cinque palazzi che circondavano un grosso spiazzale in cui avevo visto spesso bambini giocare e vecchiette appoggiare le buste della spesa. Era pieno di cani.
Quella sera non era ancora estate, ma ci mancava poco. Tornavo a casa verso le dieci quando mi bloccai di colpo alla vista della piccola piazzetta. Decine di sedie erano state riposte lungo il suo perimetro, con riflettori e microfoni puntati verso il centro. Erano tutte occupate, ma nessuno parlava. Al centro un attore sembrava recitare qualcosa. Ora che l’inverno del nostro scontento è reso estate gloriosa… sentivo scandire, e rabbrividivo, e tutti a circondare quelle parole, e la tassa sulla prima casa appariva lontana come lontana era Stratford-upon-Avon, come lontana eri tu, molto. La luce sembrava regalare l’eternità a quell’uomo ben vestito e qualcosa di soltanto leggermente inferiore a tutti gli spettatori. Rimasi lì fermo non so quanto tempo, a immaginare di poter ripetere all’infinito alcuni episodi della mia vita come in una qualche commedia immortale che sicuramente poi mi annoierebbe anche quella.
Poi sentii un ago infilarsi nel mio collo. Istintivamente avevo portato una mano sull’epicentro del dolore e avevo avvertito qualcosa di alato e rigonfio esplodere sotto le dita. Avevo generato uno strano rumore di morte e l’attore se ne era accorto. Soltanto lui. Lo avevo visto volgermi lo sguardo. Non c’era nessun altro rumore nell’aria. I suoi occhi brillarono un attimo a volermi dire qualcosa che io sentivo di aver capito e che avrei tenuto sempre per me. Poi l’avevo visto girarsi e tornare a recitare.
Avevo il lato destro del collo sporco del sangue di qualcun altro e sentivo adesso qualcosa ad esso correlato entrarmi dentro. Qualcosa che quell’attore poteva capire. Sentivo di dovermi chiudere a riccio fino al termine della notte. Non avrei potuto imparare altro quella sera. La magia era finita. Era il momento di tornare a casa.
(marco)
Friday, May 18, 2012
Un mancato investimento nel Mezzogiorno (seconda e ultima parte)
Dovevano riconoscere che la soluzione più semplice probabilmente era quella giusta. Erano in un luogo ostile. Nessuno li avrebbe aiutati. Una certa solitudine cominciò a montare loro dentro. L’ipotesi del suicidio che iniziava a crescere dentro di loro non era che una naturale conseguenza. Sfortunatamente anche la caramella mou, da ingerire in situazioni di estrema emergenza, era rimasta all’interno dell’astronave. In questo paese non si riesce neanche a morire, cazzo, questo il pensiero dell’impulsivo vulcaniano B, abituato ai combattimenti più atroci nelle terre desolate di Ygramul e Zymorion e agli animali più feroci della costellazione di Clarabella, nell’Oceano Spaziale Pacifico Minore. Conosceva tutto questo e anche molto di più il vulcaniano A, capo di questa che doveva essere la più semplice delle ricognizioni da lui condotte nel paese più arretrato e lontano che mai avessero visitato, una missione di mera osservazione e analisi di un paese debole, che sembrava poter essere sfruttato industrialmente.
Ma nonostante questo i vulcaniani A, B e C ignoravano quello che, soprattutto in un luogo dove campeggiava un triplo teschio mortale, è un concetto cardine della società terrestre: l’azione del furto. Non capivano perché un individuo A dovesse prendere un oggetto di proprietà dell’individuo B senza l’autorizzazione di quest’ultimo. Magari anche architettando qualche ingegnoso tranello per fregare il proprietario. Questa ignoranza era costata loro tantissimo, praticamente tutto.
Ed ora quei nove occhi fissavano il cielo. Avrebbero tanto desiderato un altro più grande potere, quel teletrasporto che non esiste nemmeno su Urano e che ora avrebbe fatto così comodo, come dicono tutte le mamme del mondo ai propri figli almeno una volta. Non avevano speranze, e tutti i terrestri potevano capire come si sentivano perché sulla Terra se non hai speranze ti manca proprio la benzina per proseguire, e senza caramella mou ci voleva ancora più coraggio per prendere l’unica decisione razionale che tre alieni dispersi a Bari potessero prendere. Stavano meglio persino i carcerati italiani, che un qualche laccio per impiccarsi lo trovano sempre.
Ricordo che come al solito fu l’impetuoso vulcaniano B a smuovere lo stallo del capo e proporre quello che nessuno voleva proporre. Il ricorso al Punto M.
Tutti i vulcaniani con esperienza nei corpi speciali sono a conoscenza dell’esistenza di un punto del corpo vulcaniano che, se sottoposto a una pressione di un dito indice vulcaniano per dieci minuti ininterrotti, causa la rottura del cento per cento delle pareti della pelle e lo sfaldamento della loro esile struttura ossea. Il risultato è che il vulcaniano si disintegra in una fine polverina verde.
Ma allora perché prevedere la caramella mou per le emergenze quando bastava toccarsi questo punto del corpo per inesorabilmente morire? Semplicemente perché questa procedura di suicidio è mostruosamente dolorosa, insopportabilmente atroce e, per precise ragioni fisiche che non sto qui a raccontarvi ma che vi garantisco di conoscere, è tanto più doloroso quanto più si è distanti da Urano. In questo caso si tratterebbe di un dolore universale, spezza ossa ed asciuga lacrime. Ma questa era una delle poche cose che i tre vulcaniani sapevano.
Per queste condivisibili ragioni l’alieno A e quello C avevano strabuzzato gli occhi quando il prode vulcaniano B aveva preso a toccarsi il naso e a tener lì il suo dito mentre i suoi occhi iniziavano ad inumidirsi fissando le stelle. E paradossalmente sembrava più doloroso attendere ben 10 minuti l’arrivo del dolore stesso e i vulcaniani si chiedevano perché, perché l’attesa non avrebbe potuto essere di qualche secondo, anche un minuto intero andava bene. Ma dieci! E intanto anche il loro dito rimaneva lì sul naso perché avevano capito che discutere con i terrestri sarebbe stata una perdita di tempo e che incontrarli avrebbe significato essere catturati e torturati e mangiati vivi come le aragoste o magari smontati pezzo per pezzo come la loro povera astronave che chissà su quale Fiat Tipo ci hanno montato i pezzi, e allora sembrava quasi raccomandabile questa fine solitaria su un prato verde a sette milioni di chilometri da casa loro ma questo non è mai stato un problema per i vulcaniani che si sa non hanno paura degli spazi vuoti ma piuttosto le spiagge di agosto li atterriscono e come li capisco. Mancavano cinque minuti mio dio ancora cinque minuti pensava il vulcaniano C quello ingenuo mentre il coraggiosissimo B cercava di non piangere perché voleva morire come era vissuto e per non farlo guardava la maestosa figura dello stadio San Nicola di Bari stagliarsi sulle loro antenne, una gigantesca trappola per topi intergalattici in cui erano incappati e l’ironia della sorte era che nessuno di loro poteva sapere che nel bar dello stadio a pochi metri da loro le caramelle mou erano impacchettate e vendute a tifosi che avevano bisogno di essere addolciti da una dolcezza che per i vulcaniani sarebbe stata letale, ma soavemente letale, un semplice amichevole arresto cardiaco e buonanotte a Bari, Cerignola e questo buco intero. Mancava un minuto, uno solo e penso che anch’io come loro l’avrei trascorso con lo sguardo verso casa, sessanta interi secondi che sembravano sessanta passi in salita sull’Etna che a questi vulcaniani sarebbe sicuramente piaciuto – ormai i secondi sono trenta – cercando di immergersi in qualcosa di più familiare e tranquillizzante di uno stadio vuoto, vuoto, vuoto – dieci secondi – lo sentivo rimbombare questo vuoto mentre sentivo i vulcaniani A, B e C crollati sul cerchio di centrocampo e in una lentissima agonia urlare “ghhiiiiiiiiaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaajjjjkkkkkkkkkk k nooooooooaoaaaaaaa flusc flusc flusc flusccccc gatttaaaaaaaaaaaaaappppppiiiiiieeeerrrrooooooooxxxxxxaaaa pp prennnnnnciiiiiiiiiiiipppppeeeeeeeeeeeeeexxx ttiiiixxxxxbbbattttooooooxxxxxx”
e intanto diventavano una leggerissima polverina verde che andava a mescolarsi con l’erba, mentre il rumore dei condizionatori e delle auto con la voce rauca proseguiva sullo sfondo accompagnando come sempre ogni attività di questo pianeta di ladri. L’ultimo suono terrestre che il loro udito riuscì a filtrare fu un lontano abbaiare di cani randagi che anche loro per una caramella mou avrebbero dato l’anima e i clacson, i clacson, i clacson, maledetto quello che ha inventato i clacson.
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Ricordo che il giorno dopo la partita era iniziata regolarmente alle 15. Anche gli spalti erano regolarmente semideserti. Pochi minuti dopo il fischio d’inizio avevo visto i centrocampisti centrali delle due squadre accasciarsi al suolo lamentando un terribile bruciore alla gola e agli occhi e un offuscamento della vista. Lo stesso arbitro, rimanendo vicino il cerchio di centrocampo durante i soccorsi, aveva iniziato ad accusare i medesimi sintomi. Anche i poveri barellieri, tutti giù per terra.
La partita fu sospesa, il campo completamente rizollato, il problema parzialmente risolto. Ma ancora oggi fare due passi lì nel Meridione lascia un po’ di amaro in bocca.
(marco)
Wednesday, May 16, 2012
Un mancato investimento nel Mezzogiorno (parte prima)
Importanti finanziamenti per la nostra città sembrano arrivare! Le nostre disastrate casse si dice possano venire rimpinguate da incredibili investitori provenienti da alcune stelle vicino Marte e Urano.
Ho letto da qualche parte che i vulcaniani vogliono sistemare tutti i campanili del mondo a patto che venga loro consentito di installare su ciascuno di essi un maxi trasmettitore capace di consentire anche ai viaggiatori vulcaniani di poter recepire la loro tv via cavo, notoriamente la migliore dell’Universo, con programmi di approfondimento ad ogni ora e senza talk show politici.
Il progetto però è fallito. I ricchi investitori stranieri hanno improvvisamente abbandonato il tavolo delle trattative. Non sono state fornite motivazioni ufficiali, ma si sussurra che abbiano deciso di mollare tutto in seguito alla vista della città di Bari. La delegazione vulcaniana, infatti, aveva scelto come quartier generale la sconvolgente città meridionale, attratta dalla forma spaziale dello stadio cittadino. Quale altra città poteva possedere un tale maestoso Tempio – peraltro adornato al suo interno da una sostanza morbida e verde – se non la capitale del pianeta Terra? Il problema è che, distratti da cotanto verde, gli alieni erano usciti tutti dall’astronave e, mentre questi iniziavano ad esplorare il prato del San Nicola, un gruppo di predoni locali aveva rubato l’astronave dileguandosi con un mare di vivande e gazebo e piatti di plastica nei cieli baresi diretti verso la Foresta Umbra, loro abituale area ricreativa. Ma questo gli alieni non lo sapevano.
Questo era il problema. Non sapevano troppe cose. Avevano commesso un grosso errore presentandosi in queste terre ostili e lontane senza conoscere adeguatamente la fauna locale. Se avessero studiato meglio le carte universali avrebbero visto il triplo teschio mortale che campeggiava sui cieli di Bari.
Per chi non lo sapesse, infatti, la legenda dei teschi stilata dalle carte universali è la seguente:
- Un Teschio (Monoteschio). Razzismo latente, cibo freddo, bambini maleducati, presenza di CL
- Due teschi chiari (Biteschio chiaro). Tutto quello di cui sopra più: creazionismo, capillare presenza di CL, abusivismo edilizio
- Due teschi nerissimi (Biteschio oscuro). Tutto quello di cui sopra più: 6 automobili per nucleo familiare, CL ai vertici politici, evasione fiscale legalizzata
- Tre teschi (Triteschio). Tutto quello di cui sopra più: caporalato e schiavitù diffuse, presenza della Città del Vaticano, frequente ricorso al coprifuoco.
- Tre teschi nerissimi (Triplo teschio mortale). Tutto quello di cui sopra più ancora altre sciagure: utilizzo di linguaggi ancestrali, frodi assicurative frequenti, contrabbando di qualsiasi oggetto, spaccio part time.
- Quattro teschi (Il Poker di Teschi). Tutto quello di cui sopra più ANCORA: agguati nelle rotonde, rapine come attività ricreativa, furto di camion legalizzato e frodi assicurative quotidiane, ricorso a bambini soldato, spaccio full time.
Sull’esistenza del famigerato Poker di teschi sono state scritte migliaia di pagine. La leggenda vuole che un poker di teschi aleggi su un’area prossima alla città messicana di Juarez. Altri, compresi alcuni amici miei, giurano di aver visto un Poker di teschi nei pressi del Vesuvio. Ma l’unica città capace di ottenere tale status ufficialmente dall’Osservatorio Universale è stata una cittadina del Tavoliere delle Puglie chiamata Cerignola. Da questo dato ufficiale le mamme aliene di tutto l’Universo traggono spunto quando per riportare all’ordine i propri figli esclamano: “Jigryzyl, ti porto a Cerignola se non fai il bravo”.
Ma anche Bari con il suo triplo teschio mortale non era male. L’astronave ormai sarà già in mille insoliti pezzi smontati in qualche sfasciacarrozze di Foggia o del Barlettano. Non oso immaginare lo smarrimento dei tre alieni, bloccati senza automobile sul prato del San Nicola di Bari. E, si sa, affidarsi ai mezzi pubblici non è proprio la migliore delle idee dalle nostre parti.
Insomma, i vulcaniani erano disperati. Si guardavano negli occhi che erano nove su quel campo quel giorno perché ognuno di essi ne ha tre disposti a formare un triangolo isoscele. Il più ingenuo dei tre pensava potesse essere uno scherzo, una specie di gioco di benvenuto della gente locale. Capirono davvero che erano perduti, che una disattenzione di un istante può far male se sei a sette milioni di anni luce da casa, specialmente se poi pensi bene di atterrare a Bari. Tutto era perduto. Anche trascorse le dodici ore di rito che il Centro di Comando attendeva prima di mandare una squadra di soccorso, quest’ultima ci avrebbe impiegato almeno quattro giorni terrestri per arrivare in questa remota e anarchica località. Nel frattempo, come avrebbero resistito? La loro totale sprovvedutezza li rendeva ignari del fatto che era venerdì e il giorno dopo ventidue uomini seminudi avrebbero dato luogo ad un evento che i terrestri in questo caso chiamavano Bari-Torino. Oltre ai pericoli enormi legati all’incontro con gli autoctoni, infatti, ogni vulcaniano non può condividere uno stesso luogo con più di dieci – quindici per i più in forma – esseri viventi nello stesso tempo. Non che alle partite del Bari ci sia molta più gente, ma i soli calciatori in campo sarebbero stati ventidue, dunque… nuvole nere si addensavano sulle antenne dei tre vulcaniani. Quando si commette la sciocchezza di trovarsi in una situazione simile il vulcaniano esplode, ed è un orrido spettacolo, roba che neanche giornalisti e avvocati riuscirebbero a resistere. Per non parlare della puzza di zolfo e mele marce che impregna a vita il luogo e le persone in cui i fluidi corporei si depositano.
Penso che ormai anche il lettore si sia reso conto che tutto era perduto. Il vulcaniano A ancora non riusciva a crederci. Un istante prima era il capo della coraggiosa delegazione di un popolo più evoluto che voleva espandere i propri confini, delocalizzare – ma di molto – le proprie imprese. Un attimo dopo era il leader di tre naufraghi da Guinness dei Primati su un campo con delle strane aste bianche in lontananza che gli ricordava i tramonti del loro Sole bianco rettangolare nei pomeriggi d’inverno.
Forse era una trappola che i baresi ci hanno teso, pensava il vulcaniano B. Hanno costruito questa finta astronave per attirarci, toglierci ogni mezzo di sostentamento e imprigionarci qui dentro. Poteva essere. Forse tutta la popolazione barese si stava preparando al nostro arrivo e ora si sta complimentando con i capi delle forze armate e i politici stanno lucidando la loro dentatura in attesa della conferenza stampa.
Ma non poteva essere. Erano troppo arretrati. Come avrebbero potuto sapere che stavamo arrivando? L’obiezione del vulcaniano C, quello ingenuo, era giustissima. Stiamo parlando di una società arretratissima. Avevano ancora le religioni! Qualche anno prima erano riusciti a farsi attaccare da quattro arabi con un taglierino che praticamente con questi mezzi ridicoli avevano cambiato tutto in peggio. Potevano mai intercettare alieni da Urano? No, non era possibile.
(marco)
Monday, May 14, 2012
gabinetti
Questi maledetti pantaloni del pigiama si tirano sempre su mentre mi infilo nel letto ed anche se è maggio ed è caldo io ho freddo ed anche se è maggio e ho ancora le coperte di flanella mi sento tra Ucraina e Bielorussia stanotte. Domani ho un colloquio con un’azienda ultra innovativa specializzata nel fare pubblicità nei gabinetti. Dicono sia il business del futuro. Non so se è vero, come non so se questa innovazione preveda almeno un obsoleto rimborso spese. Sembra ci stiano apparecchiando un mondo di economisti ma io non mi ci ritrovo, io non ti ritrovo stanotte ma forse neanche domani, sono circondato da amici che spendono 800 euro al mese per guadagnarne 300 se va bene o zero in alcuni casi pittoreschi, e nessuno che vuole tornarsene a casa nel Meridione perché diciamoci la verità, ci stiamo disaffezionando alla nostra prima casa, è inevitabile se uno emigra e non vuole fare il giacomo leopardi del ventunesimo secolo. Comunque non lo so, o mi do malato e continuo a pedinarti o indosso la giacca dei colloqui e mi faccio un altro giro turistico a Trastevere. Che strana vita, e tutti a dirci che è temporaneo ma alla fine cosa non lo è? È un’osservazione scontata, un giorno forse smetteremo di sentirci vittime dei tempi e riprenderemo il controllo dei nostri cervelli e sarà festa grande, vedrai cara, non abbatterti diventerò un buon partito, prima o poi un rimborso spese lo rimedio e andremo a festeggiare a Parigi o a Sorrento.
(marco)
Sunday, May 13, 2012
Tempo e Spazio
Quel giorno, dopo che ti ho vista
qualche simpaticone rovesciò il mondo
e mi ritrovai a camminar sul cielo,
palazzi e case erano inarrivabili
il suono del clacson era ricordo vago,
le nuvole invece, che te lo dico a fare?
ci sguazzavo come in uno stagno;
nulla di fronte a me
nulla che mi desse da riflettere, nulla da pensare
su quel tappeto azzurro e sconfinato
elugubravo al massimo sulle correnti d'aria;
era diverso, era un pò strano,
avere tempo e spazio per pensare solo a te;
ma la realtà è che dopo un pò mi son scocciato
di stare solo, in mezzo al nulla
e poi faceva freddo, un freddo cane.
E allora mi chiedevo solamente,
quando mi avrebbero rirovesciato il mondo.
Giulio
Friday, May 11, 2012
Il Beneficio del dubbio
Fu impressionante l'improvviso sparire
della luce dagli occhi,
l'opacità dietro al quale decise di nascondersi
nel passaggio dal credo al non credo,
proprio mentre Marie
osservava la strana traiettoria
del suo boomerang lanciato nel futuro,
e realizzava dopo un pò che non sarebbe più tornato
ma questo non la faceva pensare affatto.
I suoi peggiori amici tornavano a trovarla,
a farle compagnia
e suggerirle nell'orecchio le risposte sbagliate
durante le interrogazioni di Miss Laif;
Ogni tanto e con gran sorpresa
un fulmine di pensiero riusciva
a farsi spazio tra quei rovi:
oh se ci fosse stato ancora Benateau,
già quello avrebbe voluto dire che, se avesse voluto dir qualcosa,
ma forse no.
Giulio
Con una Ford usata
Mi dovevo laureare quel pomeriggio alle due.
C’era la vostra macchina presa in prestito che veniva da lontano e a mezzogiorno era parcheggiata sotto casa. Era stato un lungo viaggio. Eravate stanchi ed io lo so anche affamati perché lo siete sempre. Mi sembrava così ridicolo non fare nemmeno un pranzo con i migliori ragazzi che conosco e ho sempre lontano non per colpa nostra, non so perché. Allora io e lei abbiamo comprato molta pasta e mentre mi sistemavo la cravatta mescolavo la pancetta e la mia felicità era commisurabile ai carboidrati che stavo preparando.
Ci siamo seduti a tavola tutti insieme dopo non so quanto tempo. C’era gente da Foggia, Catania, Bologna, Padova, Parma, Roma, Siena, il Gargano tutto, Sansepolcro-provincia-di-Arezzo, il New Jersey e la Svizzera. Ridevamo e bevevamo vino e brindavamo a un’amicizia che non finisce perché queste non sono cose con la data di scadenza tipo come l’amore. All’una e mezza eravamo un po’ brilli ed io dovevo cercare di chiudermi la giacca. Avevo gli occhi lucidi così tanto che avreste potuto strizzarmi e usare i miei liquidi per lucidare la Ford che vi avevano prestato per arrivare fin qui.
La discussione è andata nell’unico modo possibile. Mi sentivo fortunato, ma anche un po’ orgoglioso, forse qualcosa finora l’avevo fatta bene e non si tratta dell’Università, che potevo farla meglio. Il sole era alto quasi come oggi e voi eravate vicinissimi quasi come oggi.
Poi ricordo che era notte e visto che non trovavate parcheggio ve ne siete tornati direttamente nel Gargano e non ero stupito mica, perché io nulla so del mondo e di quello che ci succederà ma conosco tutto di noi, e questo conforta e rallegra. Vi ho salutato di notte per strada, l’ho fatto in dialetto come si fa dalle nostre parti per tutte le cose importanti che si vogliono dire.
Poi sono tornato a casa. Ho rivisto la tavola con la tovaglia di stamattina ben ripiegata ed in ordine. Non ricordo chi è stato quel santo che ha sparecchiato ma sicuramente si trattava di un mio amico.
( marco )
Wednesday, May 9, 2012
Dietro le sbarre della libertà
Johnny era stato chiuso in carcere alla tenera età di 19 anni, per omicidio plurimo colposo. Non sapeva assolutamente come era fatto il mondo lì fuori, osava solo immaginare quali perle potessero essere raccolte nelle sabbie dei mari profondi del pianeta.
Aveva desiderato, bramato, aspettato per venti lunghissimi anni di uscire di lì, pensando a tutto ciò che avrebbe fatto, progetti e idee che nello spazio di una cella non possono che rimanere tali. Ma ora, che mancava solo un mese al suo rilascio, iniziava ad esser sopraffatto da una serie di strani sentimenti: paura, insicurezza, sgomento; passava notti insonni o tormentate dagli incubi; una di queste, sognò una montagna che gli crollava addosso come se fosse disegnata su uno scenario.
Arrivato il giorno del rilascio, Frank, il secondino che ormai lo conosceva da 7 anni, lo prelevò dalla cella e lo accompagnò sin fuori dal cancello del carcere, dove ad attenderlo c'era già un taxi; dopo averlo salutato calorosamente Frank si voltò e si diresse verso l'ingresso, ma nel metter mano alla fondina (cosa che spesso Frank faceva in maniera compulsiva poichè gli procurava sicurezza) notò che la pistola non c'era; si girò di scatto e vide Johnny che faceva esplodere cinque colpi all'indirizzo del tassista; tre di questi lo colpirono al volto e in testa. Era morto.
Johnny avrebbe passato molto altro tempo in carcere. La sensazione di paura e di oppressione che provava da qualche tempo a questa parte iniziava lentamente a svanire.
Giulio
Johnny era stato chiuso in carcere alla tenera età di 19 anni, per omicidio plurimo colposo. Non sapeva assolutamente come era fatto il mondo lì fuori, osava solo immaginare quali perle potessero essere raccolte nelle sabbie dei mari profondi del pianeta.
Aveva desiderato, bramato, aspettato per venti lunghissimi anni di uscire di lì, pensando a tutto ciò che avrebbe fatto, progetti e idee che nello spazio di una cella non possono che rimanere tali. Ma ora, che mancava solo un mese al suo rilascio, iniziava ad esser sopraffatto da una serie di strani sentimenti: paura, insicurezza, sgomento; passava notti insonni o tormentate dagli incubi; una di queste, sognò una montagna che gli crollava addosso come se fosse disegnata su uno scenario.
Arrivato il giorno del rilascio, Frank, il secondino che ormai lo conosceva da 7 anni, lo prelevò dalla cella e lo accompagnò sin fuori dal cancello del carcere, dove ad attenderlo c'era già un taxi; dopo averlo salutato calorosamente Frank si voltò e si diresse verso l'ingresso, ma nel metter mano alla fondina (cosa che spesso Frank faceva in maniera compulsiva poichè gli procurava sicurezza) notò che la pistola non c'era; si girò di scatto e vide Johnny che faceva esplodere cinque colpi all'indirizzo del tassista; tre di questi lo colpirono al volto e in testa. Era morto.
Johnny avrebbe passato molto altro tempo in carcere. La sensazione di paura e di oppressione che provava da qualche tempo a questa parte iniziava lentamente a svanire.
Giulio
Fiducia
Fili di carta e fogli di lana,
e cieli neri come il piombo in pieno mattino
mi facevano pensare che
non ci avevo capito niente,
che avevo vissuto in un mondo
e nutrito speranze in esso
vane come i respiri sotto l' acqua.
Mi chiesi di cambiare punto di vista;
mi chiesi troppo; voleva dire
scambiare gli occhi con quelli d'un cieco;
non ne avevo il coraggio
benchè l'enciclopedia, letta al contrario,
nel verso giusto,
mi svelasse che egli vive meglio, in una stanza buia
come questo mondo.
Preferì il fardello di un osservatorio privilegiato
e preferì continuare
a credere che il ricredersi sia cosa ciclica,
che possa accadere più d'una volta sola.
Giulio
Fili di carta e fogli di lana,
e cieli neri come il piombo in pieno mattino
mi facevano pensare che
non ci avevo capito niente,
che avevo vissuto in un mondo
e nutrito speranze in esso
vane come i respiri sotto l' acqua.
Mi chiesi di cambiare punto di vista;
mi chiesi troppo; voleva dire
scambiare gli occhi con quelli d'un cieco;
non ne avevo il coraggio
benchè l'enciclopedia, letta al contrario,
nel verso giusto,
mi svelasse che egli vive meglio, in una stanza buia
come questo mondo.
Preferì il fardello di un osservatorio privilegiato
e preferì continuare
a credere che il ricredersi sia cosa ciclica,
che possa accadere più d'una volta sola.
Giulio
Amalfi
La finestra di fronte,
il mare e i monti condividevano
lo spazio di luce astratta;
ho mirato al di là della vicinanza
ed una lama affilata
mi ha mozzato il fiato,
un gelo improvviso mi ha
cristallizzato il respiro;
in quel momento avrei preteso
di fondermi in ciò che vedevo,
unirmi a ciò che vedevo
in una sorta di amplesso,
di essere quello che avevo negli occhi.
E' una sensazione che sfiora e anzi precipita nell'assurdo,
La Bellezza di uno Scenario.
Impotenza credo, si provi
impotenza quanto all'essere,
quanto all'avere, impotenza quanto al toccare;
come se ciò che si ha dinanzi non sia,
poichè non detiene i requisiti dell'esistenza,
seppur così, non è.
Forse è la impotenza che si è detto
a renderlo bello quanto ed in quanto,
irraggiungibile;
rincorrere un'immagine credo non sia possibile,
appena fatto un passo
essa è già divenuta un'altra.
Giulio
La finestra di fronte,
il mare e i monti condividevano
lo spazio di luce astratta;
ho mirato al di là della vicinanza
ed una lama affilata
mi ha mozzato il fiato,
un gelo improvviso mi ha
cristallizzato il respiro;
in quel momento avrei preteso
di fondermi in ciò che vedevo,
unirmi a ciò che vedevo
in una sorta di amplesso,
di essere quello che avevo negli occhi.
E' una sensazione che sfiora e anzi precipita nell'assurdo,
La Bellezza di uno Scenario.
Impotenza credo, si provi
impotenza quanto all'essere,
quanto all'avere, impotenza quanto al toccare;
come se ciò che si ha dinanzi non sia,
poichè non detiene i requisiti dell'esistenza,
seppur così, non è.
Forse è la impotenza che si è detto
a renderlo bello quanto ed in quanto,
irraggiungibile;
rincorrere un'immagine credo non sia possibile,
appena fatto un passo
essa è già divenuta un'altra.
Giulio
Non ho capito se è la polonia o no
io credo che i luoghi in cui vivi segnino il tuo corpo
vorrei poter esaminare le vene degli hawaiani
compararle con quelle dei polacchi
non possono essere uguali, dai
non scherziamo
pelli spaccate nasi rossi occhi gonfi
il freddo è la metafora di una brutta notizia
che nessuno è preparato ad affrontare
In un posto sicuro, portami in un posto sicuro
a sperare di svernare
( marco )
Tuesday, May 8, 2012
biglie
Ricordo che era marzo e stavamo cadendo in prescrizione e i nostri avvocati d’ufficio non sembravano turbati come noi. Un vecchio del quartiere Junno, uno di quelli che sa come si sta al mondo, mi voleva insegnare a calcolare quando i giovani cadono in prescrizione. Mi ha spiegato che ovviamente dipende dai tempi. Ai suoi tempi il tasso di invecchiamento giovanile era di 0,8. Quindi la regola diceva che dovevi moltiplicare l’età del ragazzo per 0,8. Questo perché l’Italia era giovane e fresca, mi diceva sempre il vecchio che sembrava lì lì per crepare, e soprattutto era povera e affamata, un elemento che sembra moltiplichi le forze dei meno vecchi e di conseguenza la prescrizione era lontana.
Il vecchio affermava con certezza che quando questa moltiplicazione ti avrebbe dato un numero superiore a 70 beh allora c’era poco da fare, la tua giovinezza era caduta in prescrizione.
Questo vecchio sembrava sapere il fatto suo, perché dopo settimane di calcoli astronomici e di limoncello sul selciato della basilica era scattato in piedi con il proverbiale “Eureka!” e i polacchi della chiesa prontamente l’avevano cacciato a calci e c’era il rischio che dimenticasse il fondamentale numero partorito poco prima. E dunque il vecchio aveva calcolato il tasso del 2012 e aveva mandato un messaggero a piedi a Roma che guarda caso quel pomeriggio c’era la Roma-Ostia e lui dopo essersi classificato quinto nella classifica di categoria mi aveva recapitato il messaggio ed era spirato sulla via del Mare, che fine di merda, su quella strada non ci sono nemmeno i lampioni.
Ed allora io avevo preso l’eurostar e tempo 4 ore e 2 guasti – uno a benevento l’altro tipo a cervaro – ero arrivato a casa del vecchio che aveva indossato per l’occasione la faccia delle brutte notizie o forse era la cirrosi, che ne so,
fatto sta che mentre lo sentivo rivelarmi che il tasso attuale era 2,8 aveva iniziato a fare un rapido calcolo e mi era uscito 72,8, mio dio. Questo voleva dire che magari non avevo la cirrosi ma forse non avevo poi molte chances in più di quel vecchio ragioniere, che a pensarci a questo punto avrebbe anche potuto farsi i fatti suoi e lasciarmi allo 0,8 degli anni cinquanta e vai col tango.
Ricordo che mi stavo ancora maledicendo quando mi avevi chiamato e mi avevi detto di tornare perché ti sentivi sola senza di me ed in quel momento
coefficiente o non coefficiente
ero felice, e le calcolatrici avrei fatto meglio a buttarle, meglio ripudiare ancora una volta la matematica e tornare da te che mi riempi le arterie di biglie colorate
e il mondo oggi è giovane e bello ed io ne sono il leader indiscusso
(marco)
Monday, May 7, 2012
Visioni e Divisioni
Comunque ora i due ragazzi erano insieme ed era questa l'unica cosa che contava; Jackie, forse più di Brenda, questo lo aveva capito, se non fosse altro che perchè rifletteva sulle cose molto più di lei, e di tutti gli altri probabilmente.
Deglutì e si girò verso di lei: lei era uno scheletro in un sacco a pelo; pensò che aveva bevuto qualche birra di troppo e si fiondò per avere la conferma che ciò che vedeva era frutto delle sue allucinazioni saltellanti, ma quando andò per abbracciarla si trovò in mano un cumulo di ossa; strano facevano proprio il rumore del legno.
Che cazzo significava? si era immaginato tutto prima, o si stava immaginando tutto ora? di certo il gelo era rimasto, anzi ora sembrava fare più freddo di prima, ogni tanto qualche pezzettino di vetro della finestra cadeva sul pavimento, e probabilmente ogni tanto anche per strada. Il freddo ora era insopportabile, le sue labbra erano diventate viola; la musica che veniva dal locale era assordante e le sirene della polizia si mischiavano alle urla dei barboni ubriachi: un concerto infernale. La sbornia iniziava lentamente a diventare paranoia e l'ansia gli faceva venire una nausea bestiale. Chisà se c'era un bagno in quel posto di schifo; cercare un bagno? ma cosa diamine mai gli passava per la testa? vomitò tutto per terra e quindi come se non bastasse si aggiunse anche il fetore. Era una situazione di merda, una situazione di merda e basta.
Giulio
Saturday, May 5, 2012
Qualcosa di più forte
Giulio
Jeanee aveva un diario, un diario su cui scriveva tutto, tutto di sè. In questa raccolta di fogli c'era scritto cosa le piaceva, cosa desiderava, quello che le sarebbe piaciuto divenire un giorno, c'era disegnata la forma dei suoi sogni e delineati, con tratti ben marcati, i contorni dei suoi mostri; in questo diario parlava con passione delle sue passioni, di quello che la faceva rabbrividire nel bene e nel male, delle cose che amava e di quelle che odiava con tutto il cuore; si potrebbe dire, forse, che nel diario c'era scritta lei.
Un bel giorno (si fa per dire) l'anima di Jeanee -si racconta fosse per un feroce litigio- decise di andarsene, non prima però di aver preso il diario dal terzo cassetto della scrivania (era proprio ìi che Jeanee lo custodiva); di conseguenza la ragazza si ritrovò senz'anima e, come se non bastasse, senza il suo prezioso vademecum.
Non ricordava più tutto quello per cui provava gusto, tutto ciò che le piaceva e cosa la faceva emozionare; non aveva più memoria di quali fossero mai stati i suoi desideri e si ritrovava, dunque, a non desiderare proprio nulla. La cosa strana e poco logica è che le erano rimaste però nitide nella testa le pagine che parlavano delle sue paure, del veleno che aveva in corpo, tutto ciò che sarebbe stato meglio non ricordare; quelle pagine, che difatti Jeanee non rileggeva mai quando aveva ancora l'anima, tutte quelle pagine era come se fossero virtualmente sfogliate di fronte ai suoi occhi grandi di continuo e le parole più brutte sembravano sottolineate. Per quanto si sforzasse di ricordare tutto il resto, non le riusciva affatto e i continui tentativi falliti avevano il sapore della rassegnazione.
Non poteva neanche pensare di chiedere a qualcuno cosa vi fosse scritto sul diario proprio perchè si trattava di un diario segreto, che non aveva mai fatto leggere a nessuno e vi erano scritti, per l'appunto, segreti di lei, cose che nessuno sapeva; imparava così una lezione in agrodolce: nessuno può aiutarti a ricordare un segreto.
C'era un piccolo particolare però; c'era un ragazzo, Jackie, che lei probabilmente non ricordava più, una comparsa del suo diario che per qualche motivo era presente in più di qualche pagina; quando lei non era a casa, Jackie si arrampicava sul grande albero blu che era di fronte alla finestra e da lì sgusciava nella cameretta per mettere le mani sul diario. Lo aveva letto un sacco di volte e non solo per scoprire se vi fosse scritto qualcosa di lui; o meglio, quella era più o meno la ragione per cui aveva iniziato a farlo, ma dopo ci aveva preso gusto; gli piaceva scoprire continue cose su Jeanee e aveva una capacità impressionante di ricordarle tutte, con un'attenzione spasmodica per i dettagli. La osservava da un osservatorio segreto e privilegiato, la leggeva e non smetteva mai di guardarla. Ogni volta che per qualche ragione lei non era in casa Jackie entrava di soppiatto e rileggeva tutto, pagina per pagina. Jeanee ovviamente non ne sapeva niente e forse non lo avrebbe dovuto mai sapere.
Accadde però che quando Jackie, aprendo quel cassetto non trovò il diario, reagì in un modo che lui stesso non si sarebbe mai aspettato; ebbe un attacco di panico e cominciò a urlare così forte che in pochi secondi si trovò di fronte la sua proprietaria, che stavolta non era uscita ma era al piano di sotto seduta sul divano, a guardare il fuoco spento del caminetto.
Jeanee lo guardò e quasi lo ricordò.
Lui senza nessuna vergogna le chiese: dov'è il diario?
Jeanee: non c'è nessun diario, l'anima se n'è andata portandomelo via; e tu comunque non dovresti esserne a conoscenza. Io non ricordo nulla di quello che c'era scritto.
Jackie: io si, ricordo ogni singola parola.
Gli occhi di Jeanee a questa risposta si colorarono di una sfumatura di semiluce.
I due ragazzi si misero a sedere e, con l'aiuto di Jackie, Jeanee prese a riscrivere il suo diario.
Non era però un banale dettato, tutto ciò che lui le ricordava passava per la sua pelle, la cambiava per qualche secondo e poi finiva sul diario.
Dopo un pò tempo avevano riscritto tutto quanto. Più tardi, anche l'anima, decise di tornare.
Giulio
Mille milioni di mondi
Dunque la fantasia, la fantasia resuscita i tempi morti, partorisce l'azione. Grazie, o per colpa di questa, a seconda di chi sei e sette, neanche una goccia di trascorso finirà morto nella battaglia continua dei giorni. Quindi la fantasia salvaguarda la cosa più preziosa e forse unica che abbiamo al di fuori degli squallidi diritti di proprietà, che è veramente nostra quanto non è vero il creatore? Già, direi.
Essa peraltro rimanendo in tema di creazione, e anzi direi rimanendo nel termine addirittura, CREA-AZIONE, è genitrice di mille milioni di mondi a parte quello che ci è dato dalla circostanza. Bisognerebbe inchiodarla ad un muro e ringraziarla di non farsi vedere mai, già con lei si, si dovrebbe fare. Quindi, per finirla e sputare una sentenza troppo grossa e non ingoiarla, come si fa col nocciolo di pesca-noce, lei salva ciò che ci appartiene di più, gli dà un valore, una continua "siringa vitale" sul lettino del nonsochè, lo condanna a vita e dunque condanna a vita noi.
Giulio
Dunque la fantasia, la fantasia resuscita i tempi morti, partorisce l'azione. Grazie, o per colpa di questa, a seconda di chi sei e sette, neanche una goccia di trascorso finirà morto nella battaglia continua dei giorni. Quindi la fantasia salvaguarda la cosa più preziosa e forse unica che abbiamo al di fuori degli squallidi diritti di proprietà, che è veramente nostra quanto non è vero il creatore? Già, direi.
Essa peraltro rimanendo in tema di creazione, e anzi direi rimanendo nel termine addirittura, CREA-AZIONE, è genitrice di mille milioni di mondi a parte quello che ci è dato dalla circostanza. Bisognerebbe inchiodarla ad un muro e ringraziarla di non farsi vedere mai, già con lei si, si dovrebbe fare. Quindi, per finirla e sputare una sentenza troppo grossa e non ingoiarla, come si fa col nocciolo di pesca-noce, lei salva ciò che ci appartiene di più, gli dà un valore, una continua "siringa vitale" sul lettino del nonsochè, lo condanna a vita e dunque condanna a vita noi.
Giulio
Friday, May 4, 2012
Endorphine
(è solo una parentesi)
Solo un altro pò papà poi cambio strada. Si lo so che è una di quelle cose piacevoli che a lungo andare non porta niente di buono, si lo so. Anche la Ero era così, se ho giocato con lei solo finchè ho voluto non credi potrei farlo anche ora? Non ne capisci il significato. Tirare la corda per te non ha senso, credi che stavolta non cambierò strada in tempo? Beh non mi hai mai conosciuto più di tanto. Io sono il primo a decidere.
(Anche Jackie diceva così e poi hai visto la fine che ha fatto; credimi figlio mio in certi vortici non ci devi proprio entrare se non ne vuoi essere risucchiato, da certi tunnel non ci sono uscite se non quella finale, che fa un salto nel vuoto di mille metri, con i rapaci già lì ad aspettare il tuo arrivo al suolo.)
Lo so papà, non sono sicuro di riuscire a decidere stavolta, non ne sono sicuro neanche io, lo ammetto; ma il punto è proprio lì. Tu lo sai quanto ha significato e quanto significhi il rischio nella mia vita. Io ho bisogno, di rischiare. Non sono mai stato certo di nulla a dire il vero, ora te lo posso dire, ma questa è una delle poche cose che mi fanno sentire i brividi dell’emozione forte. La paura, la paura e la sfida. A parte l’amore, credo, sono queste le due cose che sono capaci di stimolarmi l’endorfina. La tua preoccupazione è giustificata ma credimi, le cose che ti devono preoccupare di me sono ben diverse da quelle che dovrebbero preoccupare rispetto ad un figlio qualsiasi e non mi chiedere perché. Sarà quando non mi vedrai più azzardare, quando non mi sentirai sparare cannonate contro il cielo e chi vi si nasconde dietro, quando mi vedrai fare le stesse cose dei figli dei tuoi amici e non mi vedrai più andare a mille all’ora sul filo di spago sospeso nell’aria, che ti potrai davvero preoccupare.
Ora io vado, stai bene papà, ma non ti fossilizzare su quel cazzo di divano questo fine settimana; ti do una dritta, la mamma mi ha confidato che le piacerebbe andare al parco naturale.
Giulio Caparrotti
Roma , fine 2005 (forse inizio 6)
Ricordo che faticavo a tenere la conta degli autobus e non avevo ancora capito che impararli tutti non serviva a nulla. Non conoscevo nessuno e la sera guardavo la luna e la tv – spesso non in quest’ordine – in casa con altri 4 estranei in affitto ovviamente in nero perché la padrona poverina avevo solo altri 4 appartamenti con cui tirare a campare e chissà se alla fine ce l'ha fatta a sopravvivere. Gli altri ragazzi erano un misto tra pirati somali e cecchini russi. C'è stato di tutto lì dentro. Dall'erasmus danese che stoico ha resistito sei mesi al genovese vessato che ha battuto la ritirata in albergo ad aprile.
Ricordo il Pantheon e quei giapponesi che mi fermavano per chiedermi chi fosse quel MAGRIPPA scritto lì sopra e vagli a spiegare che quella era solo l’iniziale.
Ad ogni passo trovavo un motivo per non andarmene e intanto però avrei forse voluto tornarmene a casa perché alla fine chi non l’ha pensato una volta almeno anzi cento? Perché se non ti senti fuori posto almeno una volta al giorno allora non sei emigrato per davvero, magari sei solo un pendolare o un turista.
(marco)
Wednesday, May 2, 2012
Frammenti di discorsi in autobus
Friend market
il vecchio (in tuta ed al telefono) : potremmo incontrarci; a me serve una persona con cui parlare dei problemi che giornalmente sorgono,sa con cui passare del tempo, non cerco mica la luna; si, si, infatti.
dall'altra parte: (non lo so perchè, ripeto, era una conversazione telefonica)
il vecchio (sempre in tuta): si, potremmo vederci in una zona comoda anche per lei,non so, dipende da dove abita.
dall'altra parte: (non lo so ma dopo si capisce)
il vecchio (in stracci): No, non ce l'ho; e no perchè sa a questa età alcune volte ritirano la patente, guidare è un problema; no, no, non ce l'ho.
dall'altra parte: (oso solo immaginare)
il vecchio (in un usatissimo e logoro vestito di rassegnazione): D'accordo, è stato un piacere avere parlato con lei signora, buona giornata.
Gaffe
la ragazza (quasi poggiata su di me, rivolta all'amico e piena di entusiasmo, indicando la vetrina della "Bakery House"): ehi, ti voglio portare lì un giorno di questi, un sacco di dolci GRASSISSIMI
l'amico (con l'espressione comprensiva di un amico e con fare di chi mente): ma dai smettila, tu non sei grassa (lei lo è un pò, e nei punti che non le piacciono, in realtà)
la ragazza: già, rimane il fatto che lì ci sono dei dolci grassissimi, è quello che intendevo (con molto meno entusiasmo stavolta).
Giulio Caparrotti
Friend market
il vecchio (in tuta ed al telefono) : potremmo incontrarci; a me serve una persona con cui parlare dei problemi che giornalmente sorgono,sa con cui passare del tempo, non cerco mica la luna; si, si, infatti.
dall'altra parte: (non lo so perchè, ripeto, era una conversazione telefonica)
il vecchio (sempre in tuta): si, potremmo vederci in una zona comoda anche per lei,non so, dipende da dove abita.
dall'altra parte: (non lo so ma dopo si capisce)
il vecchio (in stracci): No, non ce l'ho; e no perchè sa a questa età alcune volte ritirano la patente, guidare è un problema; no, no, non ce l'ho.
dall'altra parte: (oso solo immaginare)
il vecchio (in un usatissimo e logoro vestito di rassegnazione): D'accordo, è stato un piacere avere parlato con lei signora, buona giornata.
Gaffe
la ragazza (quasi poggiata su di me, rivolta all'amico e piena di entusiasmo, indicando la vetrina della "Bakery House"): ehi, ti voglio portare lì un giorno di questi, un sacco di dolci GRASSISSIMI
l'amico (con l'espressione comprensiva di un amico e con fare di chi mente): ma dai smettila, tu non sei grassa (lei lo è un pò, e nei punti che non le piacciono, in realtà)
la ragazza: già, rimane il fatto che lì ci sono dei dolci grassissimi, è quello che intendevo (con molto meno entusiasmo stavolta).
Giulio Caparrotti
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